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FESTIVAL DI LECCE XVIII - VALERIO MASTANDREA


L'attore e produttore è a Lecce per incontrare il pubblico prima della proiezione di "Fai bei Sogni" e per ritirare l'Ulivo d'Oro alla carriera. "All'estero? Meglio di no!"


FESTIVAL DI LECCE XVIII - VALERIO MASTANDREA
Valerio Mastandrea a Lecce con l'Ulivo d'Oro
Come hai scelto di cominciare a produrre film?

"È stata una condizione limite in cui per forza ho dovuto produrre, o meglio cercare di produrre il film, perché credo che il verbo produrre racchiuda un milione di lavori che io non ho fatto. Per "Non Essere Cattivo" ho messo solo la faccia di bronzo andando in giro a chiedere denaro e forse è l’aspetto principale del produttore. Chiedere denaro è dichiarare guerra, poi dopo c’è da combatterla… e i ragazzi di Chimera Film hanno fatto un gran lavoro. Ma la mia intenzione era di non rimanere fermo sul mestiere di attore, e mi sono trovato a confrontarmi su questo anche con dei colleghi e ci siamo detti “che senso ha?” tra poco abbiamo 50 anni e vuoi continuare a fare film dove magari ti pagano di più o dove ti pagano meno ma è una scommessa… prendi un premio, fai una proiezione in periferia… questi luoghi comuni, alcuni meravigliosi delle nostre carriere… invece noi ci siamo fatti delle domande, cominciando con la scuola Volonté, gratuita e triennale, e abbiamo deciso di mettere su dei progetti, di cercare degli sceneggiatori non corrotti di 25 anni… per lasciare qualcosa. Se no che senso ha?"

Qualcosa lo avevi già fatto con i cortometraggi?

"Sì, ma è diverso, non lo faccio per senso di colpa. Ho fatto 25 cortometraggi per senso di colpa, per aiutare dei pischelli gratis… adesso invece lo faccio chiedendo “a cosa posso servire?” E questo serve anche a me perché mi fa trovare il coraggio di buttarmi in situazioni come quella della produzione. Mi sembra tutto concatenato…"

La ricerca di storie nuove da raccontare sembra uno degli aspetti più importanti, come ti comporti tu rispetto alla situazione?

"Cercando di coinvolgere dei ragazzi a cui piace scrivere e non lo sanno fare probabilmente, non avendo neanche le porte aperte su alcune realtà produttive e cercando di dar loro delle responsabilità. Facendogli concepire un soggetto o mettendolo a lavorare su un soggetto esistente. Il ricambio che c’è stato è stato di persone ma non di meccanismo; parlo della fase della scrittura che secondo me è quella più importante, la base di ogni film. Non è una questione solo di individui ma di modo. Ad esempio in Italia non ci sono soggettisti, in America ci sono soggettisti che fanno solo quello, scrivono il soggetto. Sono pagati benissimo per inventare storie. La base di una catena produttiva perfetta, con il soggetto in cinque settimane scrivi la sceneggiatura, in 10 settimane prepari il film e in altre 10 lo giri. Un’industria sana anche dal punto di vista artistico. Fomenterei la gente a scrivere dieci pagine".

Come attore hai mai provato a lavorare all’estero?

"Ma m’hai visto? Secondo te con le fobie che ho posso reggere un regista straniero? Della mia generazione sono l’attore meno in grado di lavorare con gli americani, l’ultimo. Ma non per la lingua, anche perché quando ho fatto le mie esperienze, i miei tre film, è andata bene. Anzi ho capito che dopo “l’azione” il cinema è uguale per tutti gli attori, prima ci sono le differenze e credo che per il tipo di attore che sono non c’è proprio posto per me in una fabbrica di mostri come è la loro… mostri nell’interpretare. Ogni volta che ho dovuto soltanto interpretare un personaggio non mai riuscito ad ottenere quello che volevo… Ho fatto un film francese, uno inglese e uno americano e non li ho mai visti! Mi sono doppiato in italiano e quel poco che ho visto m’è bastato".

04/04/2017, 16:44

Stefano Amadio