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Le musiche di "Prima il segno, poi il suono"


Le musiche di
Cinzia Compalati con gli allievi del Conservatorio “G. Puccini” della Spezia

Matteo Bogazzi, Con il tuo nome (Intermezzi)
per clarinetto
Veronica Nosei, clarinetto
Opera di riferimento:
Roman Opalka,1965/1 - ∞, detail 1640247 – 1643339, 1965
inchiostro su carta, CAMeC, collezione Cozzani

Il brano è un'interrogazione sul tempo, sulle continuità e le rotture di cui è composto il suo scorrere. » quasi uno studio sulle interruzioni. Ha le sue fonti d'ispirazione in un pittore, Roman Opalka, e in un poeta, Cesare Pavese.
Se il motivo di ispirazione generale si trova nell'opera del pittore polacco, il materiale della composizione si basa interamente su tre frammenti del poeta italiano, dai quali è modellato formalmente seguendo alla lettera la composizione di ciascuna parola.
Si divide pertanto in tre "intermezzi": nel primo (´Il dolore / come l'acqua di un lago / trepida e ti circonda. // Sono cerchi sull'acqua. // Tu li lasci svanire. // Sei la terra e la morte.ª) un brulicare notturno, lavoro incessante e impersonale del misurare il tempo, viene interrotto da figure sempre uguali e sempre diverse: dapprima spasmi e fitte di dolore, poi, mentre il mormorio si espande melodicamente, voci interiori e urla gutturali. La voce del tempo e della notte, dopo un momento infuocato e frenetico, sembra ritrovare la calma nel secondo intermezzo (´Fin che ci trema il cuore. // Hanno detto un tuo nome. // Ricomincia la morte.ª) ma quasi non si accorge di avere al suo interno alcuni sinistri tremori metallici, battiti impercettibili, che finiscono nell'orbita del nulla, verso gesti-silenzio. L'intermezzo si tramuta poi, attraverso un'accelerazione simile a quella avvenuta nel primo, in una sorta di danza della morte, interrotta a sua volta dalle note dolcissime di una melodia estranea al materiale fin ora presentato (come un nome che forse viene detto). La danza si congela e rallenta come un orologio folle e, attraverso due dolcissimi multifonici (ripetizione della dolcezza del nome pronunciato), il fluire meccanico e ossessivo del tempo si risveglia, scorrendo verso il suo naturale esaurimento (´» buio il mattino che passa // senza la luce dei tuoi occhi.ª).

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Federico Favali, Metalogicalities
per voce
Felicita Brusoni, soprano
ca.4’
Opera di riferimento:
Agnes Denes, Senza titolo, 1976
inchiostro su carta, CAMeC, collezione Cozzani

Ho letto il quadro come una rappresentazione visiva del concetto di ciclicità, concetto che sta alla base delle forme viventi e del quale quotidianamente tutti facciamo esperienza. Alcuni in maniera conscia ed altri in maniera inconscia. Nell’opera di Denes la ciclicità si propone a varie velocità ed a vari livelli: ad esempio ci sono cerchi più grandi ed altri più piccoli. Nella mia composizione ho sfruttato largamente tutta la tavolozza di suoni che la voce può offrire. L’ho usata per descrivere le varie ciclicità presenti nel quadro. Così alcuni cerchi sono rappresentati a livello sonoro con un certo colore vocale ed altri con un altro. Il fatto che alcuni cerchi si intersechino mi ha portato a ripresentare colori sentiti in precedenza.

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Aleksei Iaropolov, La tensione iscritta
per flauto
Laura Basteri, flauto
Opera di riferimento:
Agnes Denes, Senza titolo, 1976
inchiostro su carta, CAMeC, collezione Cozzani

Dal punto di vista retorico il quadro “Senza titolo” di Agnes Denes presenta un gioco dei concetti di “iscrizione” e di “titolo”. Le parole, le quali lo spettatore vede sul quadro, sono “iscritte” come cerchi, anziché essere “inquadrate” in un titolo (i.e. catalogate, dal momento che si tratta di un insieme di concetti filosofici). Anche chiediamoci se il quadro possa avere un “titolo multiplo”, oppure se lo è in vista dei suoi contenuti, dato che la tavola di partenza è nient'altro che l'invenzione ingegneristica dell'epoca precomputer – la “carta di Smith”, letteralmente rielaborata dal pittore.
Siccome la carta di Smith è uno strumento per misurare l'impedenza (generalizzazione della “resistenza elettrica”, dove certi parametri dipendono dalla frequenza), si può non solo concettualizzarla, ma anche interpretarla come un continuum delle possibilità misurabili, navigando nello spazio in termini di “segnale armonico”, “resistenza”, “dissipazione“, “tensione armonica” e degli altri, ben precisi in ambito tecnico, ma fuori questo categorizzati quasi arbitrariamente – in maniera promettente oppure fuorviante.
L'intervento pittorico sulla carta di Smith può ora diventare un quadro comandi da cui il continuum generale dei soggetti (i. e. delle intersezioni dei “cerchi concettuali”) acquisisce qualche rilevanza musicale, cosicché il suo contenuto si svolge secondo la velocità, percorso e scala di lettura, presentando ogni tanto ostacoli quasi insuperabili.

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Marcello Marianetti, Colori Discendenti
per chitarra
Marcello Marianetti, chitarra
Opera di riferimento:
Mario Nigro, Senza titolo, 1974
acrilico su tela, CAMeC, collezione Cozzani

Il brano è suddiviso in due parti: la prima rispecchia una visione analitica (ho considerato la disposizione dei colori, il movimento discendente dei segmenti). Nella composizione ho inserito elementi sonori (accordi armonici e percussioni) e li ho combinati fra di loro rispettando la disposizione dei colori, anche guardando il quadro da altri punti di vista. La seconda parte è stata composta a partire da impressioni nate immaginando di far girare il quadro su se stesso; in queste condizioni i colori e la geometria non si distinguono più e tutto diventa sfumato e confuso.

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Roberto Pellegrino, atTRATTI
per fisarmonica e nastro magnetico
Roberto Pellegrino, fisarmonica
4’.33"
Opera di riferimento:
Georges Mathieu, Senza titolo, 1958
tempera su carta, CAMeC, collezione Cozzani

Confrontandomi con l'opera di Mathieu ho scelto di darle un'interpretazione musicale quasi visiva, interpretando i tratti decisi e materici, non solo come frutto di un minuzioso ragionamento, ma anche come immediata trasposizione del sentimento introspettivo: il segno si evolve, così, in suono, in un'esecuzione fisica, impulsiva, talvolta irrequieta.

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Damiano Mainenti, Gestometrie
per contrabbasso
Sofia Bianchi, contrabbasso
ca. 4'
Opera di riferimento:
Michel Seuphor, Composizione, post 1953
tecnica mista su carta, CAMeC, collezione Cozzani

Il titolo – fusione dei termini gesto e geometria – racchiude bene il concetto sul quale l'intera composizione si basa, cioè il rapporto tra l'elemento statico (geometria) e l'elemento dinamico (il gesto). Questo rapporto, desunto dallo stile del quadro stesso, viene reso in termini musicali sul primo versante mediante eventi ciclici-periodici (in quanto il periodismo regolare, ossia non evolutivo, è da considerarsi statico, quindi geometrico); il gesto viene invece espresso come trasformazione, mutamento dell'oggetto sonoro.
Il gesto è quindi movimento; non è detto però che esso possa esprimersi solo attraverso il profilo melodico (che pure viene trattato), ma anche nel ritmo e, in special modo, nel timbro.
Il trattamento timbrico della nota-suono è allora da considerarsi come gesto. Ma l'elaborazione timbrica, se inserita in una reiterazione ciclica, diviene periodismo regolare, quindi geometria. La variazione apportata a questo periodismo la riconduce al gesto.
Il suono dunque "respira"; si va dall'eco della sua assenza (rappresentata dalle sue armoniche parziali) o lontananza (lo sfregamento dell'arco sulla cordiera) alla saturazione totale (il "grattato" sulle corde simula il rumore bianco). Sovente la singola nota-suono viene "eccitata" - in senso fisico/scientifico - , tramite tecniche strategiche sullo strumento, fino a farla schiudere in scampoli melodici, i quali però non sono casuali: nelle loro apparizioni seguono in realtà un percorso geometrico ben preciso.
L'affermazione finale dell'intervallo di settima maggiore evoca la pareidolia iniziale, probabilmente corresponsabile della scelta – in un primo momento inconscia – dell'opera in questione: visione di un tramonto sul mare.

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Jacopo Simoncini, 21 frammenti per Sol LeWitt
per sax soprano
Thomas Luti, sassofono
3–5’
Opera di riferimento:
Sol LeWitt, Lines to the center of the page, 1974
tecnica mista su carta, CAMeC, collezione Cozzani

21 frammenti per 21 linee. Le linee che LeWitt traccia sulla pagina, dal centro alla periferia del foglio (o viceversa, come sembrerebbe suggerire il titolo dell’opera, ma poco importa). Linee che io posso leggere in senso orario o antiorario, iniziando da quella che preferisco, scegliendone solo alcune o andando avanti, anche, all’infinito. Perché non c’è un inizio né una fine.
E così farà l’esecutore, sceglierà quanti e quali frammenti utilizzare, stabilirà un ordine e li suonerà di seguito, per intero o in frammenti più piccoli, ripetendoli più volte, con la libertà di variarne a piacimento velocità, dinamica e fraseggio.
Un centro di gravità unisce tra loro i frammenti, come nell’opera di LeWitt: è un’idea musicale, semplice, embrionale, un singolo suono generatore. L’esecutore potrebbe decidere di non farla ascoltare chiaramente, non ha importanza, di questa idea si nutrono i frammenti, in maniera più o meno evidente, più o meno riconoscibile.
E nella presenza latente di tale idea, che cambia abito ad ogni frammento, ad ogni ripetizione, ad ogni variazione, sta il senso della composizione.

12/05/2016, 11:20