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SEBASTIAN0 - Il Cammino del martire e del turista


Fabrizio Ferraro tra video arte e cinema. Lo spunto è il famoso dipinto "San Sebastiano" di Andrea Mantegna. In sala dal 15 marzo


SEBASTIAN0 - Il Cammino del martire e del turista
Più che un film è una performance artistica. "Sebastian0" di Fabrizio Ferraro, porta l’arte fuori dai musei e il cinema fuori dal contesto a cui siamo abituati perché, spiega il regista, “nessuno si deve sentire sicuro a casa propria”. Non riempirà le sale la domenica pomeriggio, ma d’altra parte non è questo il suo intento.

Distribuito da Boudu-Passepartout a partire dal 15 marzo, "Sebastian0" è stato presentato in un museo, al MACRO di Roma, sarà poi allo ZKM di Karlsruhe e al Centre Pompidou di Parigi. È forse questo il contesto di fruizione più adatto perché è da un quadro che parte la narrazione e perché è proprio sull’idea di ciclicità che si regge.

Il film prende spunto dall’opera pittorica di Andrea Mantegna e dalle vicende del martire cristiano Sebastiano. Due storie attraversano il dipinto: da una parte ci sono una coppia di moderni turisti, Marta Reggio e John Harding, che passeggiano tra le macerie e le rovine di Roma: i Fori, il Palatino, il Gianicolo. Non parlano quasi mai e lui quando lo fa, si esprime in un dialetto australiano per lo più incomprensibile. Ferraro si è opposto con decisione all’idea dei sottotitoli: “l’importante è il suono, la musicalità è unica”. Negli stessi luoghi ma in un’epoca diversa, 287 d.C, cammina Sebastiano, Marco Teti, incatenato e scortato da due soldati romani, Adriano Fabbi ed Alessandro Carlini, verso il luogo dove dovrà avvenire la sua esecuzione. Come in un’opera di videoarte, si muovono in fila, non dicono una parola, al massimo emettono suoni.

In entrambi i casi è un camminare incessante, senza una meta e senza un fine preciso perché lo scopo è quello di rappresentare la circolarità delle cose nella loro variazione, la morte e la resurrezione, le rovine e le macerie. Accurata è la ricerca della luce e delle immagini. I tempi sono lunghi, lunghissimi, ma, spiega Fabrizio Ferraro “sono questi i tempi dell’esperienza”.

10/03/2016, 10:30

Maria Teresa Squillaci