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AGPCI: Produttori, quo andiamo?


AGPCI: Produttori, quo andiamo?
Questi primi giorni del 2016 sono tutti a favore del risultato di Checco Zalone, dimostrazione anche per gli atei convinti che il pubblico ama il cinema, che Netflix non ha spazzato via tutto e che, probabilmente, non lo farà mai, che le sale sono belle e accoglienti, ma soprattutto, che noi produttori dovremmo fermarci a pensare con molta attenzione prima di produrre. Chi fa cinema è sulla punta della piramide e può arrivare a toccare il pubblico profondamente, più di qualunque società di telecomunicazioni o addirittura di molti esponenti della politica. E questa, che ci piaccia o no, è una responsabilità.

E’ difficile fare autoanalisi perché significa mettere in discussione se stessi e ciò in cui si crede e se lo si sta credendo da molto tempo allora l’impresa è quasi impossibile. Ma se invece questo nuovo vento colpisce chi sta crescendo nella sua esperienza imprenditoriale, o ha dentro di sé la voglia di farlo ancora, allora cambiare non è solo una possibilità ma diventa un impegno, un dovere verso il settore e soprattutto verso il nostro pubblico. In quanti diranno di Checco Zalone ce ne è uno solo. Come dargli torto e così deve anche essere. Se davvero la differenza va fatta rispetto al passato infatti bisogna smettere di fare copie dei successi, o si otterrà solo di stancare il pubblico nuovamente, di sfibrare anche quell’unico modello che funziona, con un risultato mediocre per la copia e per l’originale.

Allora, visto che copiando il compito in classe si ottengono solo delle orecchie da asino, come orientarsi in questo difficile 2016?

Le Associazioni di categoria, a modo loro, cercano di indicare una strada.

Alcuni affermano che i film più costosi hanno un risultato più rilevante al box office e, in effetti, un film con budget alto prevede un impegno distributivo di altrettanta entità per cui ci si aspetta che un segno sul Cinetel venga lasciato, anche se per poche settimane. Senza soffermarci su che tipo di ritorno dell’investimento possa esserci per i film ad alto budget italiani (che spesso purtroppo puntano solo sul mercato locale), siamo davvero sicuri che anche in questo caso, come si dice, i soldi facciano la differenza per la felicità? Probabilmente si, ma anche “probabilmente si, se spesi bene”, se prima di spenderli ci si è fermati a lungo a riflettere, ad approfondire, a studiare, se sono nate mille domande a cui rispondere in mille altri modi. Alcune aziende vivono in una feroce macchina del tempo, con scadenze di consegna così serrate che le creatività si confondono e alla fine, ciò che esce è sempre il meglio che poteva essere fatto in quei tempi. Altre invece, hanno dei cicli di realizzazione così lunghi e snervanti che il prodotto che ne deriva è spesso sfibrato, dilaniato dall’attesa, dall’aspettativa, dalla carenza di risorse, che ne rendono tutto il significato, la forza narrativa devitalizzata, o semplicemente “vecchia” rispetto al momento.

Ma se andiamo oltre questa stortura del settore e semplicemente, ci dovremmo domandare: quante aziende di produzione cinematografica hanno un budget annuale allocato per “sviluppo e ricerca”? Tutte le grandi industrie italiane che producono innovazione hanno un dipartimento che si occupa solo di “pre-vedere” il nuovo trend e di analizzare dove il pubblico si dirigerà nei prossimi tre/cinque anni.

Nel nostro settore però questo non accade. Infatti né il Mibact né la Rai offrono risorse per questa particolare attività e quindi perché farlo?!

Potrebbe essere proprio questo il vero punto debole della produzione italiana? Un settore guidato da produttori che si muovono a tentativi, seguendo un po’ il naso, un po’ gli amici, senza all’apparenza avere un piano strategico reale, semplicemente continuando a fare ciò che finora è andato bene o in altre parole, copiando chi ha avuto successo l’anno prima? La risposta sembra essere sempre quella, “fin quando funziona, perché cambiare…”

Come può invece una piccola impresa fare innovazione? Ovviamente non è pensabile per aziende con un pugno di dipendenti prevedere un dipartimento dedicato alla ricerca. Ma sono spesso gli indipendenti che dettano il trend, che riescono ad ascoltare le vibrazioni ed a proporre le vere novità, o per lo meno era così prima che il mercato indicasse la commedia come unico format producibile in Italia. Eppure si riscontrano dei tentativi coraggiosi di fare altro, di offrire un’alternativa al pubblico stanco del genere abusato ed è su questo che bisogna continuare a puntare.

L’Associazione di Giovani Produttori e degli Indipendenti ha proposto l’organizzazione di alcuni moduli formativi di approfondimento professionale gratuiti per tutti i soci (Masterclass for Producers 28 - 30 gennaio), con l’intenzione di creare un percorso, una visione collettiva preparata e organizzata in imprese consapevoli del proprio valore e della propria forza. Perché un settore sano è composto da molte voci differenti, ciascuna speciale nella propria particolarità, ciascuna consapevole delle proprie risorse e della propria creatività, in grado di farsi oggi rete, domani singolo, ma con la certezza che solo saltando in sella al cambiamento, si cresce insieme ad esso, con forza, volontà, concentrazione.

Come farlo è impegno individuale e anche collettivo, principalmente non smettendo mai di ricercare, di domandare, senza aver paura di confrontarsi, senza temere di condividere le proprie idee, cercando di essere per primi il proprio dipartimento di ricerca e sviluppo, affrontando questo lavoro così pieno di difficoltà e sacrifici come un viaggio ricco di sorprese, per giungere in un luogo dove Quo Vado? è una domanda che nasce ogni giorno e ogni giorno la sfida più grande è nella sua risposta.

Moltissimi auguri per un 2016 pieno di successi!

AGPCI
Martha Capello

05/01/2016, 13:28