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Note di regia di "In fondo al bosco"


Note di regia di
In fondo al bosco è la storia di Tommi, un bambino di 9 anni che viene ritrovato cinque anni dopo la sua scomparsa durante la festa dei Krampus. Tommi è cambiato molto: non ha ricordi del passato, è inquietante, violento. Il suo ritorno, invece di risanare, aumenta la distanza tra Manuel e Linda, i genitori, due identità in crisi dalla notte della scomparsa del figlio. Anche il nonno Pietro e alcuni elementi della comunità paesana dubitano dell’identità di quel bambino. La maschera del Krampus è il travestimento oltre il quale si nasconde il lato oscuro delle persone.

E il ritorno di quel bambino, l’arrivo in paese del “diavolo”, porterà la luce là dove da troppi anni ormai il buio aveva sommerso tutto, nel profondo di un bosco oscuro e dimenticato. Il meccanismo narrativo richiama quello di “The Prestige” di Christopher Nolan. La linea del presente si svolge in parallelo con quella del passato ed è caratterizzata da flashback di personaggi che, la notte del 5 dicembre del 2010 - la notte della scomparsa del piccolo Tommi, erano presenti nel bosco che costeggia il paese. L’evoluzione dei flashback, seminati all’interno del film, dà la chiave di lettura del presente e rivela, in un montaggio alternato che converge in un finale serrato, le verità nascoste dietro alla storia e al mistero del ritorno del piccolo Tommi Conci. Ogni personaggio del film ha dei segreti, indossa una maschera e cela un’identità più complessa e nascosta. Il tema del doppio, della metà oscura, attraversa l’intera storia declinato nelle forme più varie, e trova la sua radice drammaturgia nel mondo dei Krampus dove, come dice la leggenda, “tra i numerosi falsi diavoli, si nasconde quello vero”. Ma In fondo al bosco non è un horror, è un thriller e un dramma familiare oscuro e inquietante.

È la storia di una famiglia distrutta che non riesce a riemergere dal buio dove è sprofondata dopo la scomparsa del figlio. Ed è anche un film di atmosfere che vive perennemente a cavallo di un’ambiguità inquietante, attraverso location oscure, buie e allo stesso tempo realistiche. Ispirandomi alla maestosità della natura raccontata da grandi artisti come Friedrich, Turner, Füssli, Goya, Böklin e gli incisori del Die Brücke come Karl Schmidt-Rottluff, Emil Nolde o Ernst Ludwig Kirchner ho cercato di creare un’atmosfera antica, romantica, come se fossimo in un paese dove l’elettricità non è ancora arrivata e le persone vivono la notte al riparo dai mostri e gli incubi, illuminati soltanto dalle luci di candele e lampade a olio. Tutto questo per calibrare un linguaggio adatto a tenere in tensione lo spettatore, a tratti spaventarlo e di sicuro inquietarlo secondo la tradizione di grandi capolavori come il cinema di Polanski, Hitchcock e i primi film di Shyamalan.

Stefano Lodovichi