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Il diario di lavorazione de "L'Ultimo Pastore"


Il diario di lavorazione de
La piccola storia per un cortometraggio a cui lavoravo da un bel po’ di tempo, sembrava proprio non volersi concretizzare. Ogni sforzo si dimostrava vano. Eppure delle volte il caso, che come dice giustamente Albert Camus – non è di nessuno – ti si presenta senza che tu lo abbia invitato; e così è capitato anche a me. Fu proprio mentre stavo presentando quella piccola storia che Francesco Bertolini, professore di governo dell’ambiente all’Università Bocconi, mi disse: «sì la storia è molto bella, ma è debole se pensi che a Milano esiste ancora un pastore nomade!» Ecco, immaginate ora che nella stanza, dopo il risuonare di questa frase, il tempo per un attimo si sia fermato, almeno per me, e che nell’assoluto silenzio di questi attimi immobili la mia fantasia abbia cominciato a viaggiare e viaggiare, senza più fermarsi. Inutile dire che La Piccola Storia decise di farsi da parte e tutta la mia esistenza si rivolse verso un unico totalizzante obbiettivo: raccontare questo Ultimo, ancora a me sconosciuto, Pastore nomade. Seguirono mesi di ricerca annaspante. Ci vivo da trent’anni a Milano, ma di questo pastore non ne avevo mai sentito parlare. Quando finalmente un piccolo indizio riuscì a portarmi da lui. Lo incontro in un parchetto di periferia, davanti a delle piccole altalene per bambini. La sua “importante” figura che si regge per un braccio appoggiata ad un cestino, i suoi occhi azzurri da bambino li ho ancora stampati in testa. «Ciao. Io voglio fare un film su di te!» esordisco io, «Sei matto!» risponde lui. Comincia così la storia delle preghiere per convincerlo a partecipare al mio progetto folle e delle continue, sbalorditive scoperte: la moglie manager, splendida quarantenne altamente istruita; i quattro figli bellissimi, adolescenti del secolo scorso, ma integrati in questa nuova società. Finalmente riesco ad ottenere la sua fiducia, ché ho trovato la chiave di svolta: «Renato, ho pensato che di te voglio fare una favola. Anzi tu farai una favola per i bambini che non ti conoscono» gli dico; e lui mi sorride pacioso, sereno. L’ho convinto. Da qui la produzione affannosa, indipendente, un po’ naif come dovrebbe essere sempre il cinema, ma determinata. Gli sforzi di tutti per far quadrare i conti, le leggi, i tempi. E poi quell’idea: riconquistare la città con tutte le pecore che invadono all’alba Piazza del Duomo, il cuore inaccessibile della grande metropoli. E non c’è stata una sola persona per oltre un anno che non mi abbia detto: «Non ci riuscirete mai». E quelle venti e oltre Alte Personalità della giunta di Milano (in primis il Sindaco), che la mia idea, l’hanno stampata, analizzata e ri-analizzata, dibattuta, editata, bollata, spedita, sequestrata, rilasciata e infine… approvata. «Sei così follemente determinato, che abbiamo deciso di credere in te…». Un grande regalo. Io di quell’alba di ottobre ricordo soprattutto la sensazione di straniamento. La piazza blindata, tutta per noi: per il Cinema, per Renato, per i bambini, per le pecore e un po’ anche per me. E il Duomo che ci guardava, che mi giudicava, che osserva tutti da secoli con la sua bellezza. Ne ha viste tante nel corso dei secoli, ma chissà cosa avrà pensato a vedere tutti quei bambini e quelle pecore correre gli uni verso le altre. Giornalisti da tutto il mondo assiepati ovunque intorno a noi, televisioni, turisti da ogni dove: tutti tornati a sognare come bambini per qualche istante, per un attimo. Le pecore che fluiscono via silenziose fra il rumore di tacchi delle loro zampe. Un esercito elegantissimo. Renato che mi abbraccia e mi dice: «Venuta bene la fotografia Sandro?» Penso che il mio eroe di un intero anno di riprese non ci ha capito niente, nemmeno il mio nome, nemmeno che abbiamo fatto un film E mi saluta voltandosi con la sua enorme corporatura, con un cenno della manona, per poi scomparire di nuovo. Forse per sempre. Come un miraggio. Il Duomo è sempre lì, bellissimo. Anche ora passeggiando per la Piazza gremita di gente che non conosco, se penso a quell’alba quasi sembra anche a me essere stato tutto solo un sogno. Per una volta ha vinto la leggerezza dei sogni sulla pesantezza della realtà. Grazie ad un pastore incontrato “per caso”…

Marco Bonfanti

31/12/2014, 11:00