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FESTIVAL DELLA CIOCIARIA - Parola al direttore artistico


Il direttore artistico Emanuele Rauco racconta ciò che si cela dietro al successo della nuova edizione del festival svoltosi a Frosinone.


FESTIVAL DELLA CIOCIARIA - Parola al direttore artistico
Un festival giovane per idee, pellicole ed età di direttivo e staff. Questo è il "Festival del cinema della Ciociaria" intitolato a Nino Manfredi, la cui ultima edizione si è conclusa con la vittoria di "Solving" di Giovanni Mazzitelli e "Screwdriver" di Max Croci.

A portare a Frosinone tanto buon cinema italiano indipendente e numerosi ospiti sono stati il direttore generale Valentino Cuzzeri, la consulente artistica e ufficio stampa Sonia Serafini, e il direttore artistico Emanuele Rauco. Proprio Rauco ha raccontato a Cinemaitaliano.info ciò che si cela dietro al successo di questa nuova edizione del festival.

La nuova edizione del Festival del cinema della Ciociaria ha guardato fortemente al cinema indipendente italiano. Quali sono i motivi e le caratteristiche che ti hanno spinto a scegliere per questo tipo di cinema?
Perché credo che si debba ripartire dall'inizio. Ossia dai giovani, che non avendo possibilità di amare e capire il cinema attraverso la scuola o l'istruzione devono essere incuriositi e stimolati con ogni mezzo possibile. E allora, riproporre loro i film che riempiono le sale ha meno senso che far capire le possibilità, il fascino e la forza di visioni di cinema indipendenti e alternativi. Giovani in una sola parola. Il che non significa solo cinema difficile o sofisticato, anzi, come dimostrano le première di "Spaghetti Story", "Cose cattive" e "Zoran il mio nipote scemo". Semplicemente diverso, e soprattutto vario, cercando di offrire una selezione di tutto il cinema possibile.

Hai optato per un unico concorso che comprende lungometraggi di finzione e documentari. Grazie anche a Torino, Venezia e Roma che lo hanno sdoganato, il cinema del reale sta trovando spazio al fianco della finzione. E' un momento di passaggio o si tratta di una rivoluzione?
Spero si tratti di rivoluzione, confermata dalla vittoria di "Solving" di Giovanni Manzitelli. Come ha detto il presidente di giuria Mario Sesti, è molto più interessante trovare il cinema, come linguaggio e creazione, nel documentario che viceversa. Ecco, questa mi sembra una chiave, convalidata dalla nostra partnership con il festival di Bellaria, tra i più importanti sguardi sul cinema del reale. E inoltre il fatto che il piacere per gli occhi, per la mente e per il cuore di uno spettatore sta nel come si usano i mezzi del cinema e non nel cosa si sta comunicando: "Noi non siamo come James Bond" o "I giorni della vendemmia" dimostrano che se il senso è comunicare idee e sensazioni non ci possono essere paletti ed etichette che discriminano. Per questo la prima forte emozione mai provata in sala da un pubblica è un treno che entra in stazione. Documentario o messinscena architettata ad arte? Non importa, importa che si è detto qualcosa e che il pubblico abbia reagito.

Vasta anche la selezione di corti, molti dei quali già premiati in importanti festival mondiali. Dopo averne visti molti in fase di selezione, che idea ti sei fatto dell'attuale stato di forma del cortometraggio italiano?
Come per il documentario, è in queste sacche di linguaggio diverso dalla media che stanno nascendo dei fermenti importanti. E' vero che il corto è l'anticamera del cinema tradizionale, lo confermano gli esperimenti sulla commedia che hanno vinto come "Screwdriver" e "Ci vuole un fisico", ma è anche il modo per fare in totale libertà, con pochi mezzi e poche responsabilità produttive, cose che nel lungo non si potrebbero mai fare: la scomposizione audio-video de "La Voce di Berlinguer" o la rielaborazione onirica dell'archetipo fiabesco di "Tanith" mi pare parlino chiaro e facciano ben sperare.

Sei andato a pescare lunghi e corti all'interno del Bellaria Film Festival, Milano Film Festival e Cortinametraggio, dando la dimostrazione che fare rete anche tra festival non è poi così complicato. Che tipo di dialogo è stato instaurato con gli altri direttori artistici?
Di Bellaria e Cortinametraggio c'è poco da dire, nel campo del documentario e del cortometraggio sono tra le realtà più affermate e vitali. Ho conosciuto Fabio Toncelli e Maddalena Mayneri frequentando i festival come critico e inviato, e appena abbiamo chiarito l'indirizzo dell'edizione 2013 li ho contattati. Sono stati disponibili e partecipi, ci hanno aiutati nel capire i film giusti da selezionare e nel rapporto con autori e produttori dei film, è stato un rapporto fondamentale vista la giovane età nostra di organizzatori e del festival in sé e spero che la partnership si rinsaldi e migliori nelle prossime edizioni. Il Milano Film Festival invece è stata una scoperta folgorante, perché oltre alla selezione di film, è innovativo nell'idea stessa di festival, più come happening totale che come vetrina per i migliori film. E allora abbiamo deciso assieme alla direzione del festival di non selezionare film per il concorso ma di proporre ogni giorno una selezione dei migliori film proposti nel corso degli anni, per mostrare alcune perle provenienti da tutto il mondo e per far confrontare il pubblico del festival con modi diversissimi di intendere l'arte, oltre che il solo cinema.

Il festival è intitolato ad un nome illustre del nostro cinema, Nino Manfredi, e ci sono stati omaggi ad Anna Magnani e Carlo Lizzani. Quanto è importante per un giovane festival che propone opere prime e film di esordienti aprire delle finestre sulla grande storia del cinema italiano?
E' fondamentale per quello che dicevamo all'inizio, aiutare i giovani, che sono i referenti ideali del Festival della Ciociaria e che hanno affollato le mattine dei workshop, a scoprire e capire. Il presente certo, ma anche da dove viene quel presente, quale è stata la forza di un cinema che era davvero primo nel mondo e che ora si divide tra nostalgia e conservazione. A queste due parole preferiamo ricordo e progresso: "Noi non eravamo Ladri di biciclette" e "Anna Magnani a Hollywood" vanno in questa direzione, nel ricordo per chi c'era e nella scoperta per chi non c'era di due momenti epocali del nostro cinema e di come quella forza e quella grandezza è ancora presente nel cinema italiano, se si ha voglia di scovarla e portarla alla luce.

15/12/2013, 18:23

Antonio Capellupo