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FdP 54 - METAMORPHOSEN - Volti e paesaggi dalle steppe radioattive


FdP 54 - METAMORPHOSEN  - Volti e paesaggi dalle steppe radioattive
Nel 1957 un’ esplosione nucleare di enorme portata devasta la zona di Muslyumovo negli Urali meridionali. L’area contaminata misurerà poi circa 20.000 km quadrati. Il fiume Techa che scorre in quel territorio ha dei valori di contaminazione superiori anche ai disastri di Chernobyl e di Fukushima. Sia la stampa che l’opinione pubblica però sembrano essersi dimenticati di questo angolo remoto dell’ex Unione Sovietica e solo grazie a questo documentario di Sebastian Metz possiamo osservare da vicino le conseguenze umane e sociali di questo disastro ambientale.

Metamorphosen è un film di una purezza visiva eccezionale, tutto girato in un bianco e nero limpido e perfetto, lunghi piani sequenza su paesaggi abbandonati da qualsiasi traccia umana, volti e mappature di un inferno battuto solo dal vento e dal ghiaccio radioattivo. Metz, regista tedesco classe 1982, gira il suo film con una semplice macchina reflex digitale e lavora da solo alla registrazione del suono con un piccolo registratore tascabile e il risultato è veramente sorprendente, dati i pochi mezzi avuti a disposizione dal cineasta. L’autore sceglie fin da subito di separare le interviste e la voce dall’immagine fotografica del paesaggio. Le voci dei protagonisti sono montate da Metz sulle bellissime e frequenti panoramiche a cavalletto che sembrano voler sondare e misurare lo spazio infinito delle steppe sovietiche. Non vediamo mai però il personaggio inquadrato, ma ne sentiamo solo la voce, sappiamo e intuiamo che quello che vediamo è lo spazio della sua azione, il luogo di quel narrato, ma la persona in questo momento è esclusa dall’inquadratura. Parlano il vento, le foglie, il fiume Techa dove ogni giorno si continuano a scaricare rifiuti tossici senza curarsi per la salute degli abitanti del luogo. Le persone (lasciate anonime fino alla fine del film) raccontano le propie testimonianze sul momento dell’esplosione, ma il disastro e la contaminazione non si vedono. Paradossalmente il regista riesce a trovare il bello e il sublime anche in quei paesaggi desolati e senza traccia di vita. A tratti, al centro dello schermo, viene inquadrato il primissimo piano dell’intervistato che sembra voler guardare lo spettatore dritto in faccia,  voyeur  borghese seduto al caldo e al sicuro nelle poltrone comode del cinema cittadino.

"Metamorphosen" è un film ottimo per la scelta radicale del linguaggio e il tema che affronta con coraggio e libertà di osservazione. Metz ci dimostra che un documentario può raggiungere dei livelli di cinematografia e di stilizzazione assoluti, senza dover tralasciare l’approfondimento giornalistico e di reportage. "Metamorphosen" può essere considerato uno dei documentari più “cinematografici” usciti negli ultimi tempi.

04/12/2013, 08:57

Duccio Ricciardelli