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Note di regia de "Il Secondo Tempo"


Note di regia de
Mi trovo a scrivere queste note di regia a pochi giorni dalla chiusura del film, un film che ho fortemente voluto fare per ricordare ai miei concittadini e spiegare all’Italia cos’era Palermo nel 1992. Ho sempre pensato che il mio primo film sarebbe stato girato a Palermo, era un po’ come chiudere un ciclo, ed era anche ricominciare dalle mie radici, dai miei posti, da quella che era stata la mia storia e la storia della mia città.

Quando un anno fa, ho incominciato a pensare a questo lavoro, sapevo benissimo cosa non avrei dovuto fare, ma non sapevo bene cosa avrei fatto, quali sarebbero stati i protagonisti, quali i luoghi e le storie che avrei raccontato; la mia idea iniziale é stata sempre quella di non cadere nei facili stereotipi che una città come Palermo si presta a ricoprire ed era anche quella di dare voce a tutte quelle persone, per i più, invisibili, che avevano contribuito a rendere Palermo una città speciale. Evadere i “facili stereotipi” mi ha spinto a un lavoro di ricerca che mi ha fatto scoprire una città diversissima da quella di oggi, la Palermo che avrebbe potuto essere e non é stata, la Palermo de “Il Secondo Tempo” e così mi sono trovato a condividere le emozioni dei protagonisti e le loro storie, a sfogliare vecchi album di foto impolverati, a imbattermi nelle immagini di archivio di chi aveva partecipato alle manifestazioni del post-stragi, a capire che per raccontare una città non bisogna essere didascalici, serve entrarci dentro raccontare le sue viscere, raccontare le sue storie, fatte di uomini e di macerie, di cemento armato e non luoghi.

“Esiste una storia e come tutte le storie...” dice la voce narrante all’inizio del film, e non a caso il film comincia con il grandissimo Salvo Piparo, che racconta una storia lontana, ma simile a quelle di oggi, una storia di ricchi e poveri, di padroni e sottomessi, una storia di Pietro u’ Fuddune, cantastorie del 1600, che in pochi conoscono nei quartieri borghesi e che da tanti é amato nei quartieri più popolari, e, proprio dalla popolare e storica “Taverna Azzurra”, luogo dell’ “anima” e della “fantascienza” sociale, simbolo di morte e di rinascita, prende via il film. Di notte. La notte che più che mai é metafora di una città addormentata. Salvo nel film é una guida, un vate, una figura onirica, é la coscienza collettiva della città ed é anche il presente; nel corso di questi vent’anni. Come Marta Cimino, altra protagonista del film insieme alle donne del “Comitato dei Lenzuoli”; all’ingresso di casa sua una libreria con dei faldoni blu e rossi raccoglie articoli di giornali, volantini, fotografie, lettere di solidarietà, appunti di tutto quello che il comitato aveva prodotto dal ‘92 al 1996, sfogliare quei faldoni fatti di foto e “fogli” sempre più gialli, sentire i racconti di Marta ancora emozionati, di come avevano preso vita le catene umane, di come era nata l’idea del primo lenzuolo, di come Palermo aveva reagito a testa alta alle bombe.

E questo lo si vede nelle immagini di archivio di Fabio Lanfranca, manifestante e filmaker ante-litteram, che con la sua telecamera ha girato per tutte le manifestazioni più importanti e nei luoghi più significativi, soprattutto la notte del 19 luglio, quando la gente comincia a vagare per la città vuota, sbattendo i pugni nelle saracinesche, in un clima di surreale riconciliazione tra cittadini e una parte dello Stato. Fabio sa, quanto ho voluto queste immagini, così evocative, così forti dentro questo documentario. E per finire vorrei dire qualcosa sulla città e su come volevo venisse raccontata: non una Palermo da cartolina, ma una Palermo di chi Palermo la vive ogni giorno, fatta non solo di mercati, macerie e barocco, ma anche di un cemento moderno, in una contrapposizione continua con il “vecchio” storico.

Non solo, quindi, gli interni di uno dei palazzi dei Quattro Canti, ma anche i palazzi anonimi della speculazione edilizia, alti e tutti in fila, soggetti brutti, capaci di diventare con un inquadratura, oggetti belli, dalla drammatica forza evocativa: riprenderli senza raccontare la loro storia, lavorando sulla percezione di amalgamarli al quotidiano dolore di una città povera di prospettive e alla deriva, schiacciata dalla diffusa presenza di grigio che ancora oggi fa rima con la parola mafia. E’ stato un viaggio indietro nel tempo, questo documentario, é stato un riordinare gli appunti di una città che non riesce a far storia, ed una storia di persone che non possono “cancellare per mestiere”.

Pierfrancesco Li Donni