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DI MADRE IN FIGLIA - In cosa somigli a tua madre?


Il documentario di Fabiana Sargentini analizza il "rapporto di sangue forse più profondo, ancestrale e anche complesso che possiamo trovare"


DI MADRE IN FIGLIA - In cosa somigli a tua madre?
Secondo Jean Cocteau, il rapporto tra madre e figlia assomiglia molto ad un gioco a mosca cieca.

E’ un mistero, un salto nel vuoto, una sfida tra corpi ciechi ma molto sensibili, alla ricerca di un contatto, di un volto, di una meta. Con “Di Madre in Figlia” (2004) Fabiana Sargentini va ad affrontare il legame più delicato all’interno della struttura familiare.

Il rapporto tra la madre e la figlia è il rapporto di sangue forse più profondo, ancestrale e anche complesso che possiamo trovare. Nei brevi e colorati intermezzi di “fiction” le protagoniste del film, giocano a ritrovarsi, bendate, le figlie toccano i lineamenti delle madri, cercano con lievi carezze di riconoscerne un dettaglio, una caratteristica del volto, un odore, una postura che possa ricongiungerle al caro abbraccio negato dalla cecità voluta per gioco dalla regista.

Fabiana Sargentini in questo documentario, usa la sua capacità di empatia per entrare nelle vite e nella sensibilità delle sue protagoniste. Per l’autrice il film diventa uno specchio ma anche un momento di riflessione collettivo per entrare in profondità nell’universo femminile.

“In che cosa somigli a tua madre? In cosa tua madre somiglia a te?”
queste sono le due questioni fondamentali che vengono poste alle protagoniste. Queste due domande apriranno poi ad una catena di altre interessanti tematiche che emergono con discrezione e delicatezza attraverso un montaggio fluido e ordinato di decine e decine di madri e di figlie messe a confronto con primi piani e sfondi di vita quotidiana.

Il mondo maschile dei padri e dei figli è escluso da questo gioco di confidenza tutto al femminile, dunque uno “spettatore – uomo” non può che lasciarsi andare alle parole dolci ma anche spesso amare delle madri e delle figlie. Siamo di fronte ad un ottimo mosaico di femminilità, le parole e il susseguirsi dei volti di donne di ogni età ed estrazione sociale, creano un clima di confidenza e di calore umano molto coinvolgente.
Si aprono dunque le porte su rapporti che diventano spesso morbosi o pericolosi ma anche su relazioni bellissime e totalizzanti come quella delle tre donne, nonna, madre e figlia che abitano nello stesso palazzo e che tutti i giorni, nell’intimità della casa, portano avanti con delicatezza e saggezza la ritualità e la semplicità di un mondo femminile che credevamo ormai appartenere ad un'altra epoca. Il caffè, la spesa, la cucina, il piacere e la lentezza di giornate vissute in famiglia, tra donne di tre generazioni diverse.

Dopo “Sono in cinta” (2003) film nel quale si intervistava un campione di uomini sulla sensazione provata alla scoperta della propria paternità, la regista indirizza la sua “camera analitica” solo ed esclusivamente sul femminino, universo forse più complesso, delicato e pieno di sfaccettature psicologiche rispetto a quello maschile.

Una delle donne intervistate afferma che tra madre e figlia c’è “il rapporto più affascinante e terribile che esiste”. Tra madre e figlia si crea un rapporto forse più profondo e di scambio che tra quello che avviene tra padre e figlio. Mi colpisce molto tutta l’attenzione che viene data alla trasmissione del gusto intorno alla scelta dei vestiti e del modo di sviluppare la propria esteriorità. Molte figlie finiscono per assomigliare inevitabilmente alle madri, molte altre fuggono dall’immagine materna per cercare una loro personale visione della vita.

Ci sono le figlie che parlano del cibo, molte ricordano i giochi che facevano da piccole, molte piangono le madri scomparse, alcune raccontano i rituali, le parole, i dettagli del viso, la madre alcolizzata in cerca di aiuto. Ci sono rapporti più fisici, rapporti più freddi che condizioneranno inevitabilmente il futuro emozionale della donna in età adulta. Un rapporto spesso di amore – odio, ma quasi sempre profondissimo ed indissolubile, commovente.

Fabiana Sargentini decide di raccontare la sua storia attraverso la forma dell’intervista frontale e questa scelta risulta alla fine vincente, riuscendo con abilità ad evitare la lentezza e le lungaggini di certi prodotti televisivi che non riescono ad arrivare ai livelli di creatività e di profondità raggiunti da questo film, soprattutto grazie ad un montaggio vivace e veloce.

03/08/2012, 09:30

Duccio Ricciardelli