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Davide Ferrario: “Tutti giù per terra parla anche ai giovani d'oggi”


Omaggio a quindici anni dall'esordio in sala per il film del regista trapiantato a Torino


Davide Ferrario: “Tutti giù per terra parla anche ai giovani d'oggi”
Una serata speciale a Torino nell'ambito di Cinecomedy a Mirafiori, organizzata dall'Associazione Museo Nazionale del Cinema e dedicata al film “Tutti giù per terra” di Davide Ferrario.

Una pellicola torinese, tratta dal libro d'esordio dello scrittore locale Giuseppe Culicchia e interpretata da Valerio Mastandrea (ma interpretata da tanti attori oggi notissimi come Anita Caprioli e Luciana Littizzetto, o i “fedelissimi” di Ferrario Gianluca Gobbi ed Elisabetta Cavallotti).

Ospite d'onore della serata, Davide Ferrario ha parlato del film. “Già pensare che siamo a 15 anni dall'uscita mette una tristezza infinita, specie per me che all'epoca avevo già quarant'anni...”, ha esordito.

Questo film mi hanno conoscere Torino molto profondamente, mi sono trasferito qui in quell'occasione: è una città vivissima e che riesce a ripensarsi. E poi è una città cinematografica.
Ho girato questo film in un'epoca pre-Film Commission, e tutti mi dicevano “perché lo giri a Torino? Puoi girarlo ovunque!”. Intanto perché il libro da cui è tratto è ambientato qui, ma io l'avevo vista e me ne ero innamorato: credo che questo sia il primo film ad averla riscoperta, e ho qui girato altri film, come “Dopo mezzanotte”. “Tutti giù per terra” è un film diverso però, parte da un romanzo molto duro che raccontava una gioventù che non era più la mia. Io ho fatto gli anni '70, che erano molto diversi, c'era la possibilità di cambiare le cose, o almeno di alzare la voce”.

“Il libro di Culicchia – ha spiegato ancora il regista – diceva esattamente la cosa opposta, che non è più possibile alzare la voce, che si era rassegnati ormai. Ho cercato di dirlo nel film, e mi colpisce che ancora oggi incontro giovani di 20-30 anni che mi dicono che ancora “parla” alla loro generazione, pur raccontando quella precedente.
L'ho raccontata in un modo che ai tempi era visivamente rivoluzionaria, con un montaggio originale che ha aperto, credo, una nuova stagione per il cinema italiana.
Il personaggio principale è interpretato da Valerio Mastandrea, che oggi è famosissimo ma ai tempi non aveva fatto quasi nulla, era noto solo per essere ospite del Maurizio Costanzo Show in quanto “borgataro”. Subii molte polemiche perché è romano, ma la sua interpretazione fu eccezionale al punto da vincere a Locarno (dove se ne fregarono che l'accento non fosse “adatto”) il premio come migliore attore”.

Prima della proiezione è stata proiettata anche un'intervista a Giuseppe Culicchia, che ha lasciato la sua testimonianza sul film. “Sono passati 18 anni dall'uscita in libreria e 15 dal film, Walter è stato a tutti gli effetti il primo precario della narrativa italiana, anche se non se ne rendeva conto: la sua paura è quella di finire a fare un lavoro a tempo pieno e indeterminato, sempre uguale, ogni giorno, rimanere alla vecchia idea novecentesca del lavoro in fabbrica, che è quello che ha fatto suo padre.
Non si rende conto che mentre ha quella paura, le uniche cose che riesce a fare sono lavori occasionali, mal pagati e in nero, lavori in linea con quella che oggi è la realtà per la stragrande maggioranza dei coetanei di Walter a 18 anni di distanza”, ha detto.

“Da questo punto di vista – ha spiegato Culicchia – la musica che ascolta nel libro – quella punk inglese di fine anni '70 – è molto aderente all'ideologia del “no future”. Ferrario decise giustamente di usare una colonna sonora tutta italiana, pur scegliendo gruppi che affondavano le loro radici in quella scena, come i CSI e altri dell'epoca.
Di tutte le modifiche che lui ha fatto al testo originale, l'unica che non ho condiviso ma che naturalmente lui aveva diritto di fare perché è il suo film, e non il mio, è il finale in cui tutto si ricompone. Nel libro non c'è nulla che si ricompone, e per questo – da parte mia – credo sia la trasposizione fedele del primo disco dei Ramones, perché quello è, messo sotto forma di romanzo: e in quel disco non c'è nessun senso.
Tutto nasce dal mio rifiuto di accontentarmi della prima sceneggiatura che il produttore aveva fatto scrivere a Paolo Virzì. Avevano chiesto anche a me di farne una, ma non è il mio mestiere e poi “Tutti giù per terra” era il mio primo lavoro, non riuscivo a vederlo in altro modo che come lo avevo fatto io. La nuova sceneggiatura la scrisse Ferrario, che ne divenne anche il regista: pur non ricalcando il libro, la sua era una sceneggiatura che lo rispettava.
Questa rimane la mia unica collaborazione con il mondo del cinema – tranne una partecipazione in giuria a un festival torinese... - anche perché due o tre situazioni non si sono poi concretizzate.
La scena madre del mio libro è quella con cui si apre, il fatto che il protagonista dica di girare in tondo giorno dopo giorno, di non trovare il suo posto nel mondo che lo circonda: già in quella prima pagina c'è tutto quello che sarà il libro, in realtà. Non a caso finisce con una scena molto simile a quella con cui si apre, e il titolo vuole da un lato sottolinearne la circolarità ma anche il nonsense.
Per quanto riguarda invece il film, la scena che mi ha più colpito è forse quella del funerale, perché avrei voluto scriverla io!”.

30/06/2012, 10:00

Carlo Griseri