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Note di regia del documentario "Il Violino di Cervarolo"


Note di regia del documentario
Come spesso succede in Italia, ovunque tu nasca esiste una traccia drammatica lasciata dall'ultima guerra. Dove viviamo noi, la provincia di Reggio Emilia, in cui la lotta partigiana è stata “una roba seria”, di tracce di questo tipo ce ne sono parecchie, dai fratelli Cervi alle numerose “pietre dolenti” disseminate lungo le nostre strade.

Quella di Cervarolo riveste tuttavia un'importanza particolare, vuoi per il misterioso isolamento del luogo, nascosto tra le valli dell'Appennino, vuoi per il fatto che fu una rappresaglia ai danni di civili inermi. Ciò che colpisce nel caso di Cervarolo è la rassegnata ineluttabilità con cui per tanto tempo questa strage è stata accettata da chi ne fu colpito. Quasi si trattasse di un effetto collaterale del passaggio della Storia, di fronte alla quale, troppo spesso, ci sentiamo totalmente impotenti. Cosa tanto più vera se a farne le spese sono gli ultimi, contadini e pastori da sempre rassegnati a combattere contro una terra assai poco generosa, per la stretta sopravvivenza.

Il passare degli anni ha finito così per rendere tutti un po' complici omertosi della Storia, tant'è che l'identificazione dei reali esecutori di questo eccidio progressivamente si è persa. Cominciarono ben presto a circolare diverse versioni e c'era addirittura chi l’additava come una strage partigiana. Un pessimo servizio, insomma, reso alla Memoria.

Come raccontare tutto questo? Quale struttura dargli? All'inizio infatti, parlo del 2008, io e Matthias volevamo raccontare solo l'incredibile storia del violino che apparteneva a Virgilio Rovali. Storia di per sé bella, ma che acquistava un reale significato solo all'interno del più ampio racconto della strage di Cervarolo. E qui cominciavano i problemi, perché a questo punto sentivamo che il racconto avrebbe rischiato di assumere contorni troppo vaghi, di perdere il suo baricentro e temevamo di arenarci. Per cui accantonammo il progetto e aspettammo. Solo quando, un anno dopo, scoprimmo, del tutto inaspettatamente, che di lì a poco, presso la corte militare di Verona, avrebbe prese avvio il processo per quella strage, capimmo che esso avrebbe fornito alla storia il set ideale - con tanto di avvocati, giudici, consulenti e testimoni - e il ritmo narrativo che ci voleva.

A questo punto mancava solo chi facesse da trait d'union tra il processo e la storia del violino. E la scelta non poteva che cadere su Italo Rovali, il figlio del violinista. Ovviamente Italo lo conoscevamo già, in quanto fu proprio lui a raccontarci la storia del violino di suo padre Virgilio. Si era tuttavia "dimenticato" di dirci che dal 2005, da cocciuto montanaro qual era, lavorava perché si aprisse il caso della strage del suo paese e fossero mandati a processo gli ufficiali nazisti che l'avevano pianificata.

Nico Guidetti