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LA CASA NEL VENTO DEI MORTI - Un bucolico torture porn


Il film di Francesco Campanini, scritto insieme all'attore protagonista Luca Magri, è un omaggio al cinema di genere italiano anni '70


LA CASA NEL VENTO DEI MORTI - Un bucolico torture porn
Come sempre più spesso capita nel cinema horror recente, "La casa nel vento dei morti" è costruito in due parti nettamente distinte, la prima funzionale alla seconda e diversa da essa per tenore e genere.

Nella prima, quattro delinquenti non troppo bene assortiti compiono una rapina a un furgone postale, nel corso della quale uno di loro rimane ferito a morte. I sopravvissuti: Attilio è un ex-attore, osteggiato dal cinema dopo la fine della guerra (siamo nel 1947) per aver recitato al Cinevillaggio fascista di Venezia (e costretto per clemenza a sparare al socio morente); Ugo è un burbero uxoricida; e Ciccillo è un ragazzo siciliano rimasto traumatizzato dalle bombe durante il conflitto.

La fuga per i boschi dopo il colpo diventa una tortura, la mancanza di cibo e di riposo li costringe una sera a cercare rifugio in una casa, apparentemente abbandonata ma invece abitata da quattro donne sole. E qui inizia la seconda parte del film, quella horror, quella in cui - dopo aver mantenuto nella prima il registro del suo esordio, "Il Solitario" - Campanini dà sfogo a tutta la sua passione per lo splatter e il torture porn.

Non bastassero il titolo e la locandina, per far capire allo spettatore che la "casa" che compare intorno al minuto 40 è la protagonista della pellicola ci pensa un netto cambio musicale (in generale poco convincente la colonna sonora, tranne che in questo passaggio), le immagini virate e gli strani rumori che da subito si percepiscono nell'abitazione. Sarà l'inizio di un incubo.

Luca Magri, anche co-sceneggiatore, è il protagonista Attilio, credibile anche se forse un po' troppo impostato; mentre Francesco Barilli, storico regista di genere, è Ugo, sanguigno e verace come il suo attore. Gli omaggi ai classici del "bis" sono tanti, oltre alla presenza stessa di Barilli ovviamente: segnaliamo, tra gli altri, le gesta del Cinevillaggio veneziano che sono al centro dei libri di un altro maestro riconosciuto come Umberto Lenzi e le atmosfere bucoliche dell'Appennino che ricordano il primo Avati.

Convince lo spirito di omaggio consapevole, l'idea della "tribù" di donne fatali e contadine, la cura per alcune inquadrature e i titoli di testa; meno la troppa carne al fuoco (i discorsi sul fascismo e sulla realtà dell'epoca sono parsi poco approfonditi), l'efficacia delle scene d'azione (specie nella parte finale, anche lo splatter è meno del previsto) e la povertà di alcune ambientazioni (ma qui le colpe sono del basso budget a disposizione...).

16/05/2012, 13:44

Carlo Griseri