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52 FdP - "Cave of Forgotten Dreams", Herzog tra paleolitico e 3D


Presentato come evento speciale al festival fiorentino l'ultimo film del maestro tedesco Werner Herzog, girato nel cuore della Chauvet, antica grotta a sud della Francia. Scoperta solo una quindicina di anni fa, ospita uno dei più grandi tesori mantenuti dal tempo, una sorta di galleria d'arte realizzata dall'uomo del Paleolitico. Il regista ha documentato il tutto servendosi del 3D, che aiuta a creare un'atmosfera suggestiva.


52 FdP -
"E' difficile chiamarle grotte, queste sono delle vere gallerie d'arte!". Impossibile dar torto a Peter Zeitigler, direttore della fotografia di "Cave of Forgotten Dreams" di Werner Herzog, intervenuto a Firenze alla presentazione del film, evento speciale della 52a edizione del Festival dei Popoli.

Il regista bavarese, capace di fimare pagine importanti della storia del cinema mondiale, da molti anni ha rivolto grande attenzione al documentario, esplorando spesso il rapporto tra natura e spiritualità. Il suo "viaggio" più recente ha voluto restituirlo allo spettatore attraverso le "tre dimensioni", creando un effetto affascinante e spiazzante al tempo stesso.

Con una troupe ristretta, Herzog si è calato nel cuore della Chauvet, una grotta nel sud della Francia scoperta dall'uomo solo a metà degli anni '90, per documentare una sorta di "galleria" del Paleolitico. Tra stalattiti e teschi di animali che il tempo ha conservato perfettamente, si scorgono sulle pareti le effigi di leoni, bisonti, orsi e molte altre bestie realizzate 35000 anni fa dagli abitanti di quei luoghi.

L'uomo del paleolitico era un artista completo, e nelle sue opere si sforzava di comunicare lo slancio, l'accellerazione, il movimento delle creature ritratte, e l'incontro tra la prima forma d'arte e il recente 3D, riesce a dar vita ad un mix di grande suggestione.
Nonostante il doc sia stato realizzato per "History", oltre al carattere puramente illustrativo, mantiene una dimensione mistica e spirituale grazie alle musiche di Ernst Reijseger, che fonde archi e fiati creando un'atmosfera di mistero e memoria.

Non manca, nel finale, un atto d'accusa verso la follia dell'uomo moderno, che con quella maledetta voglia di voler giocare a fare il "dio", sta manipolando la natura proprio a pochi chilometri dalla "magica" Chauvet.

15/11/2011, 12:46

Antonio Capellupo