Quando Castaldo mi diede la sceneggiatura de “Il sesso aggiunto”, sapevo solo che si trattava di una storia in cui c’entrava la tossicodipendenza, mi aveva accennato qualcosa mentre la stava scrivendo. Me la lanciò sulla scrivania senza aggiungere nulla, nemmeno una parola su ciò che gli sarebbe piaciuto farne.
Io e Francesco lavoriamo insieme ormai da più di sedici anni, ma soprattutto ci conosciamo molto bene. Sapevo che mi stava mettendo una pulce nell’orecchio; e lui sapeva perfettamente che quella “pulce” lì, io non avrei fatto nulla per scacciarla.
Dopo qualche giorno mi misi a leggere quel copione, e ad ogni pagina mi convincevo sempre di più che era qualcosa di bello, di importante. Mi accorsi di averlo letto tutto d’un fiato, e che avrei voluto… anzi, che avremmo voluto, farne un film.
Era già da un po’ che ci balenava l’idea di voler rivolgere la nostra attenzione anche alla produzione di lungometraggi, e decidemmo insieme di partire con “
Il sesso aggiunto”.
Ci mettemmo subito a lavoro. Come prima cosa “buttammo giù” una bozza di Piano di Lavorazione su sei settimane di riprese e un preventivo delle spese. Certo, si trattava di un film “difficile”, lo sapevamo bene, uno di quei film con cui se recuperi i soldi spesi puoi già considerarti un miracolato. Ma avremmo potuto chiedere dei finanziamenti, trovare degli sponsor, coinvolgere la Regione… come fanno quasi tutti, d’altronde.
Il nostro itinerario alla ricerca dei soldi, però, diventava man mano più demoralizzante, ci faceva prendere atto che non era solo il film, difficile, ma anche che potessero aprirsi le porte a cui avevamo bussato: Rimasero tutte chiuse, infatti. Intanto erano trascorsi alcuni mesi. Avevamo già deciso la data dell’inizio delle riprese, e Francesco era già andato molto avanti con i provini per la scelta degli attori, aveva già deciso alcuni ambienti, erano già stati presi accordi verbali con alcuni fornitori…
Avevamo, quindi, già messo in piedi l’intero meccanismo che precede le riprese di un film.
Siamo andati avanti, devo dire, con una certa incoscienza. Ma lo sapevamo, lo abbiamo sempre saputo che siamo due incoscienti. Forse perché ci lasciamo sopraffare dall’entusiasmo; o perché abbiamo un profondo rispetto per il nostro lavoro, perché pensiamo che il nostro lavoro può anche essere utile a qualcuno. A volte nascondiamo le cose a noi stessi pur di portare avanti un discorso che ci piace, che riteniamo giusto; e quando poi scopriamo le carte è sempre troppo tardi per tornare indietro: E andiamo avanti. E’ accaduto proprio così, per questo film. Noi, per esempio, sapevamo perfettamente che sei settimane di riprese non sarebbero state sufficienti. Ne sarebbero servite otto, o anche nove. Ma se ce lo fossimo detti prima non avremmo avuto il coraggio di avventurarci in un’impresa simile. E ugualmente sarebbe stato se non ci fossimo illusi che qualche finanziamento prima o poi ci sarebbe arrivato. Ci siamo tenute nascoste delle verità, perché quello che volevamo veramente era di realizzare questo film. Io penso che sia un indice di onestà portare avanti un progetto solo perché pensi che sia giusto, pur sapendo che probabilmente ci rimetterai dei soldi. Penso che onestà significhi anche credere in qualcosa.
E così, ci siamo ritrovati ad affrontare l’intera produzione del film con il solo utilizzo del tax credit (che comunque ci è stato molto utile).
Siamo andati avanti, e, nonostante tutto, abbiamo ancora una volta rispettato il nostro modo di essere. Non abbiamo voluto togliere niente, al film. Anzi, gli abbiamo dato molto di più di quanto era stato preventivato, tutto quello che ritenevamo necessario: una troupe completa, nove settimane di riprese, 68.000 metri di pellicola kodak 35mm e tutto il resto.
E la cosa ancor più sorprendente è che abbiamo pagato tutti.
Se non fossimo stati “onesti”, come avremmo potuto produrre questo film?
Giovanni Madonna