Fondazione Fare Cinema
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Note di regia del documentario "Khalid"


Note di regia del documentario
Il progetto è nato intorno al lavoro che ho svolto in una cantina sociale, come assistente del cantiniere e magazziniere.
È un lavoro stagionale che faccio da 3 anni, durante il periodo della vendemmia.
I miei compagni di lavoro sono italiani, marocchini, nigeriani e cinesi.
Lavorando a stretto contatto con i marocchini ascoltavo le loro storie, incredibili talvolta per la ferocia e la violenza degli eventi trascorsi.
Paradossale anche il fatto che mentre loro maneggiavano queste centinaia, migliaia di bottiglie di vino, allo stesso tempo si erano autoimposti di non bere e non mangiare e non fumare, dall’alba al tramonto, per rispettare il ramadan in corso proprio a settembre.
Mi sembrava una storia troppo forte, che doveva essere raccontata.
Ho scritto un progetto. L’ho presentato al dipartimento di scienze dell’educazione per avere le attrezzature ( due quarzine LUPO, una Panasonic 100, un carrello MANFROTTO, un cavalletto 3m MANFROTTO, e una vecchia Panasonic CCD televisiva a vhs )
Ho composto la troupe con un fonico professionista e con i compagni della specialistica DAMS, pugliesi, liguri, fiorentini, reggiani, bergamaschi, romani e con l’aiuto di Felix Ndayitabi, originario dello Zaire, traduttore della cineteca di Bologna, per la parte concettuale di approccio al tema dell’immigrazione.
Abbiamo girato dentro alla cantina sociale, con diverse difficoltà logistiche risolte tramite l’approccio estremamente militante e alla consapevolezza di stare realizzando un prodotto importante, in un momento come questo, in cui l’immigrato è un problema, ma nella realtà è un lavoratore assiduo, per la mia esperienza un amico.

Khalid Battouta, protagonista, non ha voluto però continuare le riprese dopo il lavoro,
per paura. Forse quando ne avevamo parlato mentre lavoravamo insieme e gli avevo detto che avremmo fatto un film sulla sua storia, e lui era d’accordo, non aveva immaginato la giraffa del fonico, le luci e quei cavalletti giganti, con cinque persone che gli stanno intorno mentre lavora.

E allora il progetto ha preso una piega diversa,
siamo stati costretti, per non abbandonare a filmare quello che stava intorno a Khalid, senza esagerare, senza voler mostrare solo il brutto di un territorio che sta venendo corroso dall’urbanizzazione crescente, compromettente.
Quello che stava immediatamente attorno erano queste colline di vino D.O.C., questi cantieri delle strade in costruzione, queste enormi cave, e le antenne e le gru sullo sfondo dell’intervista che abbiamo fatto a Tawfiq, un altro amico che abita in questa Italia.
L’obiettivo era di rappresentare il contemporaneo, crudo, della provincia del nord, ma che potesse essere risultare un territorio pressoché universale, utilizzando nomi neutri, MAGAZZINO, PEDEMONTANA, SUBURBANA.
La scelta dell’attore, Andrea Rossetti, un amico, che in teatro interpreta questo monologo che ho scritto la notte del rifiuto di Khalid di continuare a girare dentro alla sua vita, è stata un escamotage per portare a termine il progetto.
Lo abbiamo ripreso con tre telecamere ( 2 panasonic 100 e la vecchia ccd vhs, unica immagine inserita nel film è proprio la prima sequenza del guitto dopo i titoli di testa ) dentro allo storico cinema teatro di via mascarella 44, in centro a Bologna.
Ho pensato che solo liricamente sarebbe stato possibile parlare di un fenomeno simile, che nessun documentario potrà mai riportare alla luce, addentrandomi in un territorio difficile a livello narrativo e consequenziale, difficile anche da condividere con gli stessi montatori, amici e compagni del progetto.

Enrico Masi