Note di regia del film "Amore che Vieni, Amore che Vai"


Note di regia del film
Di Fabrizio De Andrè, oltre alle straordinarie qualità poetiche e musicali, ho sempre ammirato la grande libertà creativa, l’apertura mentale e culturale, che lo hanno portato, nel tempo, a rischiare, a mettere in discussione il proprio lavoro, collaborando con musicisti e autori tutti di grande personalità, di grande prestigio: Gian Piero Reverberi, Nicola Piovani, Francesco De Gregori, la PFM, Mauro Pagani, Ivano Fossati…
Lo stesso senso del rischio, lo stesso sentimento di libertà, lo hanno spinto, nella prima metà degli anni ‘90, a scrivere un romanzo, “Un Destino Ridicolo”, assieme allo psicanalista-scrittore Alessandro Gennari.
Nonostante la personalità e il talento di Gennari, “Un destino ridicolo” sembra appartenere soprattutto a De Andrè, tanto è denso di rimandi al suo mondo poetico-musicale, in particolare a quello degli anni ‘60. Ecco, quindi, che non si è trattato soltanto di adattare un romanzo, ma anche di abbandonarsi alle suggestioni poetiche di alcune canzoni memorabili come “Bocca di Rosa”, “Via del Campo”, “La Città Vecchia”, “Amore che Vieni, Amore che Vai”.
In una nota di lavoro, De Andrè ha definito il romanzo come “una favola, di quelle che raccontano i nonni”. Il film vuole essere una favola: una favola di amore e di malavita, ambientata nei vicoli, nei “carruggi”, della Genova del 1963.
Alla fine del capitolo nono del romanzo, un capitolo in cui i due autori commentano la storia che stanno raccontando, De Andrè dice a Gennari: “Sai, passando di mano i racconti si confondono, ognuno ci mette del suo, così diventa difficile ricostruire una vicenda, specialmente dopo trent’anni…
Ecco, nel film, ho cercato di raccontare la storia di “Un Destino Ridicolo” come se qualcuno avesse raccontato quella storia a qualcun altro, e questo qualcun altro l’avesse raccontata a me, agli sceneggiatori, agli attori. Come una favola, appunto. Il romanzo è scritto con leggerezza ma anche con grande partecipazione emotiva. La stessa leggerezza e la stessa partecipazione emotiva, mi piacerebbe fossero ritrovate nel film. Con l’aiuto degli attori e di Nicola Piovani, ho tentato di rimanere, nel contempo, vicino e lontano ai personaggi e alle loro vicende. Senza giudicarli. Giocando con loro, ma anche piangendoli. Come, del resto, fanno De Andrè e Gennari nel romanzo.

Daniele Costantini