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Note di regia del documentario "Verso Est"


Note di regia del documentario
Il film è stato suggerito dal bisogno di farsi emotivamente partecipe, con ruolo d’osservazione attiva, del destino di certi luoghi la cui storia è segnata da forte azione d’eventi drammatici.
Si è scelta la Bosnia perché è lì che si è consumata una delle guerre più aspre, non solo nella crudezza degli sviluppi sanguinosi, ma anche e soprattutto per la crisi gravissima delle relazioni nel corpo sociale, per la difficilissima pacificazione che ancora oggi stenta a ricomporre le evidenti insoddisfazioni dei diversi elementi
etnici. Perché il tema dell’identità – direi più propriamente quello della “nazionalità”, intesa con accezione negativa – si apre ancora a espressioni di conflitto.
Perché è già possibile una valutazione del primo dopoguerra; delle risultanti di ricaduta dell’excursus bellico, nella cultura e nell’economia.
Per quella ricostruzione che stenta a compiersi, o forse peggio che stenta a essere “intrapresa”, poiché l’idea stessa di “futuro” è gravemente compromessa.
Perché resta da fare un’accurata riflessione intorno ai principi posti a fondamento della recente democrazia, evidentemente non ispirati al sodalizio Stato-Popolo, ma
confusamente discendenti da regolamenti del passato regime.
Perché s’impone l’accoglienza, con valore di simbolo – assolutamente non “santuari” – dei luoghi della memoria recente, con assunzione sentimentale di quei significati che ne discendono da parte della collettività tutta, nella
poliedrica composizione.
Perché il privato dei singoli in molti casi è definitivamente compromesso, esistenze non più recuperabili alla pienezza del vivere.
Perché bisogna che siano rispettati i diritti dell’infanzia, e che per loro – almeno per i bambini – l’istruzione pubblica voglia farsi divulgatrice di valori per la concezione di un mondo non diviso, di un popolo unico.
Tutto questo era da visitare, da osservare con discreta e rispettosa curiosità di conoscere.
La presenza di Hatidza Mahmedovic’ – presidente delle madri di Srebrenica, gravemente colpita essa stessa dalla morte dei due unici figli, del marito e dei congiunti di sesso maschile nel corso del genocidio, a Srebrenica nel 1995 – porta in scena la verità di una tragedia di agghiacciante vastità: oltre le gravissime perdite causate dal conflitto in ogni città e contrada, con danno di tutti i gruppi etnici in campo, soltanto nell’area di Srebrenica sono caduti per mano dell’esercito serbo più delle 8.500 vittime ufficialmente riconosciute dal tribunale dell’Aja, per la
gran parte di giovane età e sesso maschile; il viaggio di Hatidza tra memoria e attualità ha consentito lo sviluppo di un percorso di presa emotiva e, nonostante l’asperità del tema, il definirsi di un racconto poetico.
La Bosnia ha una sua lunga storia nel cuore dell’Europa, sulla Penisola balcanica. Questo vecchio Stato, cristianizzato nel Medioevo da Roma e da Bisanzio, si estendeva dalla pianura pannonica verso il Nord, fino al retroterra dell’Adriatico verso il Sud, sboccando sul mare stesso. Modeste dinastie e effimeri principati lo governarono durante un lungo periodo. La regina bosniaca, Katarina Kotromanjic’ di nome, era sepolta nella chiesa romana dell’Ara Pacis e riposa ancora sul Campidoglio.
Lo scisma cattolico-ortodosso spaccò crudelmente le chiese su questo territorio. Nello spazio di frattura e di frantumazione s’inserì l’eresia “bogomila” (“cara al Dio” -
simile a quelle patarene o albigesi). L’Impero turco vi portò l’islam a cui si convertirono numerosi slavi durante più di quattro secoli d’occupazione ottomana. “La Bosnia cadde sussurrando”, scrissero le vecchie cronache.
Lo scrittore Ivo Andric’, l’autore di "Un Ponte sulla Drina", Premio Nobel per la letteratura, ha lasciato una profondissima testimonianza su un paese che perdeva ad un tempo la sua unità e la propria storia.
Le divisioni e le contraddizioni che si erano manifestate già nei tempi remoti diventarono, dopo la creazione delle nazioni, e soprattutto durante la seconda guerra mondiale, forti e aggressive. E lasciarono le memorie sconvolte e
spesso opposte l’una all’altra. La Resistenza contro il fascismo riunì numerosi rappresentanti delle nazionalità, che crearono uno stato federativo jugoslavo e inaugurarono un periodo di pace e di relativa prosperità. Ma dopo la morte di Tito i nazionalismi ripresero il loro ruolo sovversivo, quasi fatale: più di 200.000 uccisi nei conflitti, più di due milioni di sfollati o esiliati, tanti altri caddero vittime della persecuzione e della “pulizia etnica” – questo è un bilancio approssimativo della guerra svoltasi dall’inizio degli anni 90 del secolo oramai scorso, fino ai
giorni nostri.
La Bosnia di oggi è più il resto d’uno Stato che uno Stato vero. Costituisce la parte più distrutta di quello che rimane dall'ex-Jugoslavia. Teatro di una tragedia immane e inumana, accaduta vicino a noi, nei Balcani, vive “un tempo del dopo” (cosi’ lo chiama uno scrittore bosniaco).

Laura Angiulli