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Note di produzione del film "Ho Ammazzato Berlusconi"


Note di produzione del film
Una scena del film "Ho Ammazzato Berlusconi"
Non esiste un mondo perfetto, ma ce n’è uno possibile“.

Questo film, fin dalla sua versione letteraria, mira ad una riflessione, ampia e circostanziata, sulle forme del potere e le sue derive personalistiche e mediatiche nella società contemporanea.
La vicenda narrata pone la sua attenzione su quanto si sia fatto problematico ed ambiguo, nelle democrazie occidentali, il rapporto fra realtà della vita sociale e rappresentazione della stessa nei mezzi di comunicazione e nell’immaginario collettivo.
Matteo Luisi, il protagonista, intraprende, nel corso della narrazione, la ricerca di una verità che si è fatta sempre più ingannevole ed indecifrabile, confusa nei diversi piani della proiezione mentale, della spettacolarizzazione, della mistificazione degli organi di informazione. Una realtà dove l’evidenza materica di un cadavere viene presa meno sul serio della sua immagine televisiva. Dove due Berlusconi convivono, senza che uno finisca per essere più vero, più reale dell’altro. L’umorismo delle situazioni in cui il protagonista si trova coinvolto è, però, sempre attraversato da una amarezza di fondo.
Il percorso che egli intraprende, sembra a prima vista assumere i contorni di un progressivo smascheramento di inganni e pregiudizi - dai miti della sinistra tanto cari alla moglie, all’immagine pubblica stereotipata dell’uomo politico disumanizzato dall’ambizione personale - per rivelarsi poi un viaggio senza ritorno in una realtà ritrovata solo attraverso un’ulteriore ricorso alla finzione, all’ (auto)inganno.
Il mondo in cui Matteo si muove è un mondo dove la realtà è prodotta dal pensiero, collettivamente (attraverso il potere dei media e delle strategie di marketing) o personalmente (in un percorso di ricerca che sconfina nel delirio psicotico).
In questo senso, il film si propone di incarnare nella sua stessa forma narrativa, questa capacità di travestimento collettivo del reale insita in una società in cui tutti partecipiamo, da protagonisti o da comparse, ad una messa in scena di massa, dove la spettacolarizzazione è percepita come più reale della realtà stessa delle cose.
Altro punto focale della vicenda è la graduale auto-colpevolizzazione del protagonista.
Il pensiero individualista di Matteo, in contrapposizione alla morale collettiva, appassionatamente sentita da Livia, si trasforma in un sempre più profondo disagio. Come per il Raskolnikov di “Delitto e Castigo”, pian piano il rimorso per un’azione (peraltro involontaria di Matteo) assume sempre più la dimensione di un macigno.
Le situazioni grottesche in cui egli si trova via via aggrovigliato, scoprono sempre di più la realtà tragica del suo alienarsi.
Matteo non ha più speranze perché non ha più alcun attaccamento per il proprio Paese, perché non crede più in un possibile bene comune.
Ed è l'insinuarsi dell'antipolitica nella sua vita, nei suoi convincimenti, quello che lo porterà all'autodistruzione.

Gianluca Rossi e Daniele Giometto