Festival del Cinema Città di Spello e dei Borghi Umbri
!Xš‚‰

Note di regia del film "La Terramadre"


Note di regia del film
"La Terramadre" nasce come esperimento del racconto possibile di un territorio.
Il film è frutto di una lunga attività sul paese siciliano di Palma di Montechiaro, famoso per le origini che da qui trae la famiglia dell'autore del Gattopardo, Tomasi di Lampedusa, ma anche per aver rappresentato per tanto tempo il luogo simbolo del sottosviluppo del meridione d'Italia. Siamo infatti partiti dall'idea di dover far nascere interamente il film dal territorio, come se esso lo generasse attraverso i suoi elementi costitutivi. Per mesi abbiamo ascoltato i palmesi raccontare le loro storie, ricostruire il proprio immaginario individuale e collettivo. Abbiamo esplorato il loro territorio, disegnato una mappa dei luoghi attraverso la considerazione simbolica che di questo ne facevano gli abitanti. E facendo ciò abbiamo intuito che quel senso di appartenenza alla terra, a volte considerato frutto di enunciazione retorica, forse esiste. Ed è più forte di qualsiasi contingenza storica per quanto globalizzante questa possa essere. Qui poi, da gente che per tanti anni è stata costretta ad emigrare, questo sentimento è stato fortemente esercitato. Tra le tante storie raccolte proprio quelle legate all'emigrazione sono sembrate le più adatte, le più attualmente utili, a raccontare quella terra che ancora oggi lega all'emigrazione la sua storia e la sua identità e ancor più perché oggi sulle coste di Palma arrivano quasi ogni giorno quei migranti clandestini attraverso i quali Palma scopre che al suo sud c'è un altro sud che sta peggio.
All'inizio del film Alì arriva dal mare in un luogo da cui deve presto fuggire.
Deve andare altrove. Dove non lo sa. Altrove. Anche i Palmesi fuggono altrove. Abitanti di un territorio che è già nella sua fisicità rappresentazione e metafora di un mondo disgregato e disgregante, sembrano sopravvivere soltanto negli altrove:quelli fisici, geografici, come la Germania (dove alcuni di loro hanno ripreso ad emigrare) e quelli immaginari, metafisici, fatti di religiosità estrema e appassionata, di credenze magiche o di sogni televisivamente globalizzati.
A Palma di Montechiaro il nostro set è stato un altrove dove molti Palmesi si sono rifugiati ...e noi con loro, e ci siamo resi conto che anche noi che facciamo il cinema, nella fatica ansiosa della costruzione di quel mondo parallelo e virtuale che è il set forse sopravviviamo solo negli altrove.
E' questo che ci ha fatto più che ogni altra cosa sentire parte di quel mondo: il sentirci bisognosi di un rifugio. A Palma abbiamo ancora una volta vissuto la nostra personale difficoltà ad accettare un mondo che non ci piace, che scaraventa gli uomini a destra e a manca in balia di una storia che è una non storia. E allora abbiamo raccontato le storie dei Palmesi con una partecipazione che scavalcava qualsiasi principio di realismo rappresentativo, qualsiasi canone di obiettività. Il film è in questo senso il risultato del tradimento dei presupposti quasi documentaristici su cui era fondato il progetto iniziale, ma la realtà di Palma è stata per noi troppo ricca di rimandi verso altro, troppo pronta a diventare metafora. Così mentre cercavamo di recuperare l'identità collettiva di un luogo ci è successo di raccontare le solitudini di chi lo vive (ed in questo peraltro si è diretto il mio pricipale tentativo di trovare una chiave stilistica unitaria che ho individuato nella necessità di isolare i miei personaggi, di far toccare allo spettatore il senso desolante della solitudine di ognuno di loro mentre si muove in un mondo polverizzato) di far specchiare le loro storie in quella di Alì che è la storia inventata ma ricalcata su quella di migliaia di migranti dei nostri giorni che, disperati, partono dalla loro terra e dopo mille peripezie faticosissime e violentissime arrivano in una terra che tutto sommato, come nel caso di Palma, è molto simile a quella che hanno lasciato anche dal punto di vista del paesaggio, della conformazione fisica, sono presi e rispediti a casa. E ciò è una sorta di mito di Sisifo, una fatica inutile che è poi la fatiche dell’esistere.

Nello La Marca