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Conferenza Stampa (Venezia, 04/09/2007): Il Dolce e l'Amaro


Conferenza stampa con il cast del film "Il Dolce e l'Amaro", durante la 64. Edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Intervengono in sala il regista Andrea Porporati, gli attori Luigi Lo Cascio, Fabrizio Gifuni, Donatella Finocchiaro ed i produttori Giampaolo Letta e Francesco Tornatore.


Conferenza Stampa (Venezia, 04/09/2007): Il Dolce e l'Amaro
Luigi Lo Cascio e Fabrizio Gifuni a Venezia
E' voluto il tono comico di alcune scene del film?
Andrea Porporati: Sicuramente il tono comico di alcune scene è voluto, ma non ho cercato di redicolizzare la situazione di un personaggi che non è mai riuscito a farsi capire se non predendo in mano una pistola. Ho voluto mettere in scena, in modo buffo, una contraddizione drammatica. In questi anni ho raccolto tanti aneddoti dalle persone che incontravo, quindi avevo un materiale sterminato su cui lavorare. La scelta di Saro lo porta a "confliggere" contro la natura umana e quindi inevitabilmente ad ogni passo salta fuori una contraddizione, che poi è l'anima del comico.

Che differenza c'è tra Saro del "Il Dolce e l'Amaro" e Peppino Impastato dei "Cento Passi"?
Luigi Lo Cascio: Per Peppino Impastato dei "Cento Passi" mi riferivo ad una persona realmente esistita che aveva avuto una eccezionale esperienza di vita e quindi mi sono riferito a come era lui dai suoi testi, dalla sua voce alla radio, dai racconti della madre e del fratello Giovanni. Quindi, avevo messo da parte il lato dell'invenzione, perchè volevo mettermi al servizio di qualcosa di più grande che era restituire l'umanità e la tragedicitò di una figura così importante. Il personaggio di Saro è molto più semplice. Intanto è un personaggio d'invenzione e quindi in corso d'opera modificabile, specie nel carattere. Non avevo problemi di fedeltà ad un modello. Le scelte culturali e di vita di entrambi, non portano a schierarmi. Saro non crede di essere un cattivo, non si rende conto di essere dalla parte dei disvalori, e questa è un pò la parte tragicomica della vicenda, ma nel migliore dei mondi possibili. Si trova, quindi, in una condizione di disincanto verso tutto quello che l'aveva sedotto ed inizia un percorso di cambiamaneto. Se volessi trovare un'altra differenza con Impastato è che in quest'ultimo la trasformazione avviene precocemente grazie alle persone che frequenta ed alle letture che intraprende; mentre nel povero Saro si presenta qundo nota l'esercito di cosa nostra disarmato. Leggendo la sceneggiature ho immaginato e fatta mia questa creatura che prima era fuori di me.

Fabrizio e Luigi, voi siete amici anche nella vita. Quanto questo vi ha aiutato ad entrare nelle parti e creare la complicità sullo schermo?
Frabrizio Gifuni: La nostra conoscenza, anzi amicizia, in questo film; a differenza del "La Meglio Gioventù", dove il vissuto pregresso era messo a disposizione di scene leggere e divertenti e quindi poteva riemergere un qualcosa che non si doveva recitare ma fondato su un'intesa presistente; è diversa. Qui, pur essendo nati nello stesso quartiere, non c'è tra i personaggi un'intesa come quella di Nicola e Carlo. Casualmente in un'intervista dopo "I Cento Passi" Luigi aveva detto che non avrebbe mai fatto una scena nella quale mi avrebbe picchiato, però in questo film l'ha fatto! (n.d.r. interviene Lo Cascio dicendo che non vi erano stunt-man e la capocciata che da a Gifuni era reale come anche il sangue, ed aggiunge ridendo che così ha sistemato alcuni conti in sospeso con il collega-amico). Guardare Luigi negli occhi, mentre giravamo l'ultima scena del film, è stato come allinearsi verso frequenze conosciute...
Luigi Lo Cascio: Una cosa che dovrebbe sempre succedere sul set è guardare l'interlocutore come parlasse una lingua straniera, come se ti sorpendesse, come se si uscisse fuori dal già saputo. E' bello conoscersi, specie per il prima, perchè si è sul set con un amico. Poi quando si recita è bello vedere come una persona che si conosce improvvisamente parla un'altra lingua, che improvvisamente è diverso.

Questo è un film "anti-glorificazione" della mafia, esemplare, in quanto un vero e proprio spot per non diventare mafioso. Avete pensato ad una campagna di promozione della pellicola nelle scuole?
Giampaolo Letta: Mi fa molto piacere che il film venga definito uno "spot anti-mafia". Abbiamo già organizzato una serie di proiezioni nelle scuole e nelle università e ne vorremo organizzare ulteriori in luoghi dove si possa creare una discussione, un dibattito. Aver descritto le piccole gioie e le grandi miserie di un "mafioso piccolo-piccolo" ed una parte d'organizzazione mafiosa smitizzata, può costituire un messaggio molto forte contro la mafia.
Francesco Tornatore: Quando andavo a scuola si sarebbe detto che questo film rappresenta una "demistificazione"; oggi diciamo che abbiamo prodotto al meglio un film che racconta un fenomeno duraturo in modo diverso. La bravura di Porporati, Lo Cascio e degli altri attori ed autori hanno fatto si che non si abbia un giugizio a priori, ma che questo venga fuori dagli spettatori.

La scelta di un punto di vista narrativo non è mai casuale. Vorrei chiedere al regista come mai "ha scelto questo angolo di riprese"?
Andrea Porporati: Più che un film sulla mafia, anche perchè non mi piacciono le storie dominate da un solo argomento, è un film su un personaggio, anzi su tanti personaggio, sui tanti tipi umani messi in scena, anche degli attori non principali, che sono riusciti a dare freschezza e vitalità al film. Il personaggio di Saro Scordia è venuto fuori da solo. La sceneggiatura è nata casualmente ed era molto più lunga di quella del film, perchè ogni situazione ne richiamava tante altre. Non ho ragionato a priori sulla trama del film. A posteriori credo che quello che volevamo fare era raccontare un uomo qualunque, anche se all'interno della mafia, un uomo di cui tutti quanti potessero seguire lo sguardo senza esserne distanti. Di solito nei film di mafia è difficile immedersimarsi per lo spettatore nei personaggi, come per esempio in Don Vito Corleone, che è quasi un "re". Abbiamo raccontato, così, la storia di un uomo qualsiasi che è capitato lì solo per caso e che se avesse fatto altre scelte avrebbe fatto tutta un'altra vita. Il film italiano sulla mafia che più ci ha ispirato era "Il Mafioso" di Lattuada con Alberto Sordi. Abbiamo riproposto, quasi, la ricetta narrativa dei film italiani di una volta che affrontavano un argomento sociale tragico con dei personaggi che si ritrovavano quasi per caso nell'evento e che poi ne subivano tutta la gravità ed il peso, ma con lo sguardo di uno preso dalla "folla". Negli ultimi anni è stato difficile per me, come anche per molti dei miei colleghi registi, capire che cosa è l'Italia, perchè è molto cambiata molto negli ultimi vent'anni ed anche il popolo è un'altra cosa. La scelta di questo personaggio è stata, quindi, anche un capire dove ci portarà, cosa sarà e forse cosa saremo...

Signor Porporati, l'ha influenzato il film di segio Leone "C'era una Volta in America" per quel che riguarda il racconto dell'amicizia virile e quello con la donna amata? E' voluta la ricerca di alcuni elementi che emergono nel film come l'acqua il fuoco, la terra, come punteggiature per la formazione del percorso criminale?
Andrea Porporati: Sicuramente quel cinema mi ha influenzato, come ha influenzato un po' tutti. Ho voluto ripercorrere un po' la struttura dei classici gangaster-movie, ma non con un approccio epico, ma minimalista, dal basso. Il fuoco, l'acqua, il pozzo, la pentola sono simboli venuti un po' spontaneamente. Il personaggio di Saro è un po' un adolescente, quindi ho fatto si che la macchina da presa inquadrasse il mondo dal punto di vista di un adolescenziale. Come nell'episodio dei bambini, che è poi centrale per il cambiamento del personaggio e di Gaetano Butera, che è raccontato un po' come una favola. Da quel momento in poi, come anche lo sguardo di Saro, il film cambia e diventa più realistico e visto con l'occhio di un adulto.

In un film fortemente maschile c'è il ruolo molto forte di questa donna, oggetto d'amore. Come ha lavorato a questo personaggio signora Finocchiaro?
Donatella Finocchiaro: Mi è molto piaciuto. Andrea mi ha convinto a fare questo film, insieme anche a Francesco Tornatore, perchè hanno sottolineato l'aspetto simbolico di questo personaggio, che scrive a caratteri maiuscoli un "no" grande alla mafia. Immediatamente alla prima lettura del copione questa cosa non l'avevo capita. Ada è legata a Saro da un grande amore e da una forte passione. Quando Saro si decide a chiederle di sposarlo, lei non se la sente, perchè è una persona "normale" che vuole vivere una vita "normale". Non può sposare un delinquente, non può accettare di vivere con un uomo che ha una vita che non le appartiene e per questo si allontanano. Saro non accetta questo diniego e mi picchia pure e di conseguenza c'è un allontanamento tra i due. Lei si trasferisce a Torino per fare la sua vita "regolare" di maestra. A un certo punto però lui ritorna, dopo aver compiuto il suo percorso di vita, dopo essersi sposato con un'altra donna e dopo aver aver avuto dei figli. La crisi esistenziale di Saro lo riporta, cos', tra le braccia del suo grande amore. Questo ritorno è forse il ritorno alla sua vera natura di uomo libero che sceglie una vita normale.

Si sente di simboleggiare in questo film la parte della Sicilia buona?
Donatella Finocchiaro: Sicuramente, sì. Il mio è un personaggio positivo e ne sono felice: di siciliani buoni ce ne sono parecchi.

Il suo personaggio è molto cinico e cattivo. Ci può parlare di questo suo "cambiamento" artistico e se si è divertito in questa nuova veste?
Luigi Lo Cascio: Mi sono molto divertito, perchè era nello spazio della finzione. Il mio maestro di recitazione, come anche di Fabrizio Gifuni, parlava del recuperare "il si fa che s'era", come si dice in Toscana, come i bambini. Ho fatto questo. A volte Andrea Porporati sul set mi diceva "mi fai paura", ma mi piaci tantissimo dal punto di vista artistico.

Come hai lavorato nei tuoi film con Gifuni e Lo Cascio, che svolgono dei ruoli di minaccia anche quando sono persone normalissime? Come hai lavorato sulla loro "pericolosità"?
Andrea Porporati: I miei due film hanno come protagonista "iI cattivo". Spesso i cattivi sono più interessanti dei personaggi positivi, perchè mostrano le contraddizioni più evidenti. In entrambi i film, che sono molto diversi per collocazione geografica, uno nel Nord ed uno nel Sud Italia, mi premeva di capire quale è la strada che può condurre una persona, da tutti ritenuta "normale", a quello che una volta si chiamava "il male", cioè a fare una scelta distruttiva. Nel mio primo film ho raccontato la storia di un parricidio dovuto a ragioni psicologiche, compiuto da una persona che viveva in un silenzio emotivo che produceva violenza. Nel caso di Saro vi è quasi un percorso inverso, quello di un giovane come tanti che arriva al "male" per ragioni sociali e culturali. Il senso di minaccia che ispirano questi due personaggi, quindi, è un po' il senso del racconto. I film per me sono un po' come i sogni, costellati da mostri, quindi ci fanno riflettere su quello che abbiamo dentro di noi.

Nella fction tra sogno e realtà, da chi è veramente affascinata una donna, da un mafioso o da un uomo perbene?
Donatella Finocchiaro: Io personalmente da un uomo perbene, ma che mi sa tenere in pugno. Sicuramte una persona onesta, perchè l'onestà è per me un valore principale.

Signor Porporati, cosa ne pensa delle critiche al cinema italiano degli ultimi mesi?
Andrea Porporati: Non voglio parlare delle ragioni economiche, produttive e distributive e di mercato della crisi del cinema italiano. Credo che siamo l'unico paese al mondo dove nei bar ci sono appese le foto dei film da Alberto Sordi a Totò. Il cinema, infatti, era importante per tutti perchè rappresentava il modo di essere degli italiani. Oggi l'Italia è cambiata molto rapidamente e, quindi, io come autore ho faticato molto a descriverla e capirla. L'accusa che muovono agli autori di guardare troppo al proprio privato, di essersi chiusi, è stata forse una reazione istintiva al fatto di non capire bene il mondo di fuori e quindi di non poterlo raccontare ancora bene. Sicuramente sarà un fenomeno passeggero. Già è tornata la voglia a noi registi di "sguinzaglarci" per il mondo, come noi che siamo andati da Palermo a Torino. Inoltre non bisogna avere la pretesa di raccontare gli italiani sapendo già a priori come sono, ma capendoli e cercando di indagarli come i grandi maestri del passato: bisogna ritrovare la felicità nel raccontare, anche i drammi più grandi. Da spettatore negli ultimi anni ho visto molti film italiani interessanti. Una ricchezza del nostro cinema è che tutte le generazioni di cineasti si esprimono. Ci sono grandi maestri come Bertolucci, Bellocchio, Olmi; autori della generazione di mezzo come Luchetti, che ha fatto un film come "Mio Fratello è Figlio Unico" che mi è piaciuto molto; e poi ci siamo noi, i Sorrentino, i Garrone, i Vicari. Sicuramente, però, va migliorato anche il rapporto con il pubblico, che si è molto allentato nei vent'anni in cui è stato difficile "raccontarci". Il primo dovere di noi cineasti è ritrovare la dimensione della popolarità, che non vuol dire svendere o svilire il film, ma entrare in rapporto con il pubblico che andrà a vedere la pellicola.

Se un mafioso o aspirante tale vede un film del genere, che reazione può avere?
Andrea Porporati: Non è un film che fa venire voglia di fare quella vita, perchè si ritorce contro chi la vive...


Conferenza Stampa "Il Dolce e l'Amaro"


TV Call "Il Dolce e l'Amaro"


05/09/2007

Simone Pinchiorri