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Intervista al regista Tommaso Valente


Intervista al regista Tommaso Valente
Come ha iniziato la sua carriera cinematografica?
Tommaso Valente: Negli anni di università io e alcuni colleghi eravamo un gruppetto bello agguerrito: in particolare con Daniel Franchina e Roberto Di Tanna (con cui ho firmato delle regie a sei mani), Enrico Chirico, Sonia Maccari, Serena Alfieri, ma anche con Cristina Arnone, Francesco Ferrieri, Ascanio Borg e tanti altri... abbiamo cominciato a fare dei corti, prima in Hi8 e poi in Digitale, semplicemente mettendo insieme le nostre forze e le nostre idee. Poi sono venute le esperienze professionali importanti, ma quello che mi permette di lottare ancora per fare il regista, la vera passione e la voglia di sperimentare, vengono da lì.

Nel documentario "Casilina Express" descrive il tragitto di questo treno romano. Come le è venuto in mente il soggetto?
Tommaso Valente: Ho preso quel trenino tutti i giorni per quasi tutti gli anni dell'università, vivevo al pigneto, sopra una sua fermata: lo sentivo passare già da prima dell'alba, lo guardavo dalla finestra, lo prendevo vuoto, affollato, con la pioggia, con il sole. Poi ho traslocato ma, non appena ne ho avuto l'occasione, ho sentito la necessità di raccontarlo: a mio avviso è uno dei simboli della roma contemporanea, una dei punti forti su una mappa ideale di una "nuova" roma, tanto più multietnica quanto più legata alle sue radici.

Cosa ha cercato da un punto di vista sociale di porre in risalto in questo documentario?
Tommaso Valente: "Casilina Express" nasceva per essere un film (l’ennesimo) sugli immigrati. Liquidato così, in due parole, suona quasi offensivo. Eppure, già dai sopralluoghi, ho scoperto una realtà nascosta, la vera realtà nascosta della ferrovia Roma Pantano. E' incredibile quanto poco ci interessi il perché un mezzo pubblico sia in ritardo, si guasti o arrivi alla fermata particolarmente affollato; quasi come se, a governarlo, non ci fossero uomini come noi, ma un grande complotto generale che non fa altro che metterci i bastoni tra le ruote. Nella selva di uffici e stazioni che ho visitato nell’arco di tutta la preparazione (un documentario girato su di un treno ha bisogno di tanta burocrazia) ho avuto la fortuna di conoscere il meccanismo che rende possibile la vita di questo treno così antico e così importante. Gli omìni in divisa che presiedono le stazioni, manutenzionano i treni e la linea, pilotano e manovrano le vetture, hanno assunto un volto, una voce, una storia. Attraverso queste persone "Casilina Express" è diventato un film sul treno, su quella parte di realtà nascosta che da vita agli oggetti. Il treno è il mezzo con cui i tre protagonisti comunicano con il mondo. E il mondo risponde, ogni giorno, mentre le linee dei binari scompaiono dietro ad una curva o all’orizzonte, su una strada ormai inesorabilmente tracciata. Sia pur percorrendo ogni giorno lo stesso destino, la storia degli uomini e della proprie esistenze è sempre diversa. È per questo che, del “carro bestiame” (così definì questo treno Pasolini in”Accattone”), ho voluto raccontare il “cocchiere”.

Mi pare che in "Casilina Express" voglia far congiungere alcuni momenti del passato con quelli attuali. Ha voluto mettere in risalto lo scenario urbano in perenne cambiamento? E questi cambiamenti sono per lei tutti positivi?
Tommaso Valente: Ho voluto certamente creare un rapporto con il passato e con il disordinato sviluppo della capitale ma principalmente per raccontare un punto di vista non sempre mio. Spesso sono stati i testimoni stessi a volerlo perché tutti e tre profondamente legati a quel territorio. Secondo me questi cambiamenti non sono stati quasi mai positivi ma i loro effetti sono stati determinanti per tutto lo sviluppo dell'area est di Roma e per la sua conformazione geografica ed etnica attuale. Sono cose che non volevo approfondire nel mio lavoro pur conoscendole molto bene (vivo tutt'ora in quell'area e l'ho scelta consapevolmente). I riferimenti che ci sono nel film appartengono di più ad un rapporto intimo e continuato che hanno gli uomini con la realtà: "Casilina Express" è il racconto (per altro non a narrazione orte) della vita che un treno metropolitano si porta dietro, spesso nascosta sotto la scritta "non parlate al conducente" o tra le mura degli uffici di una stazione. Queste persone mettono in mostra una passione e uno spirito di sacrificio incredibile per far funzionare questa linea, che è parte integrante della loro vita passata e presente, dei quartieri in cui vivono e della città in generale: secondo me è una grande lezione di civismo: sentono che quella struttura gli appartiene non per un contratto di lavoro ma perché fa parte integrante delle loro abitudini, della loro quotidianità anche fuori dal contesto professionale. Quel treno è un servizio e loro devono preservarlo e farlo funzionare per la comunità.ù

In passato aveva girato anche un documentario dal titolo "Appunti per un Documentario su Roma Termini". Cosa le affascina del mondo delle stazioni, dei treni?
Tommaso Valente: Credo fermamente che se ti poni dei paletti e sviluppi il tuo lavoro sfiorando in continuazione il limite puoi amplificare la tua ricerca. Le stazioni e i treni sono statici e dinamici allo stesso tempo: tutto è in continuo movimento ma i binari sono rigidi e le strade tracciate: le storie si intersecano, si scambiano, avanzano parallele; sono di una varietà incredibile; piccole o grandi che siano appartengono ad un mondo ma anche al mondo. Sono un riflesso sempre aggiornato e mutevole della realtà che ci circonda. Subisco il fascino del movimento e delle linee geometriche che questo stesso segue. Insomma: in questa confusione che ho appena descritto io ci trovo un fascino viscerale e ogni volta che mi ci immergo ne esco profondamente maturato.

Ci parli del suo prossimo lavoro, il corto "I Ragazzi che si Amano"
Tommaso Valente: Una domenica di primavera. Due ragazzi si ritrovano, per caso e dopo anni, sulla terrazza della casa in cui passavano le vacanze nell'infanzia e nell'adolescenza. Si salutano, si confidano, si innamorano. Nel frattempo un uomo, in una soffitta adiacente alla terrazza, mentre ascolta le partite alla radio, tortura e uccide la moglie. Parliamo di due situazioni limite ma la ricerca, la struttura e la sfida narrativa non volge a generare contrasto ma ad accostare le due storie e a raccontarle per ciò che sono, senza doppi sensi e moralismi: starà al pubblico stabilire se ci sono riuscito. "I Ragazzi che si Amano" fa parte di un progetto più grande a cui apparterranno più corti che hanno come punto di unione una forte presenza diegetica e narrativa della radio. La forte capacità del suono di generare racconto e di intrecciarsi con le storie è spesso trascurata. Questo progetto si nutre invece di questa possibilità attraverso uno dei media più affascinanti che ci siano: la radio e tutto il suo bagaglio di storie e di storia.

Cosa ha preso dai registi Gianfranco Pannone, Sandro Baldoni e Peter Del Monte con cui ha lavorato come aiuto regia?
Tommaso Valente: Dai tre registi con cui ho condiviso (come aiuto) l'esperienza di un lungometraggio (e con Gianfranco in particolare tante altre esperienze professionali non meno importanti) ho imparato una cosa fondamentale: puoi comprendere la tecnica, sviluppare capacità di approccio, modi di interagire con la realtà, di metterti in discussione di fronte ad un attore o ad un testimone di un documentario, di collaborare e dialogare con un reparto - facendo l'aiuto sei sempre al centro delle dinamiche del set e ne scopri i tempi, i modi, le peculiarità, tutte cose importantissime per realizzare ciò che hai in mente - ma la sensibilità non si insegna nè si trasmette. Il modo di raccontare una storia, le pulsioni specifiche che devi assecondare o sopprimere, le emozioni che vuoi e devi trasmettere, il rispetto verso la storia stessa, i tuoi collaboratori e il pubblico, la giustizia e la giustezza fanno parte del tuo corredo personale, sono le componenti genetiche del tuo modo di esprimerti: i "maestri" ti aiutano a cercare ma una volta trovata la tua essenza ci sei tu, il mondo e la macchina da presa.

Con Pannone ha lavorato in "Io Amo Solo Te". Ci può parlare di come è avvenuto l'incontro con il regista e come è stata realizzata la produzione di questo film?
Tommaso Valente: Con Pannone ci siamo conosciuti per caso durante un'incontro nell'ambito del festival Arcipelago. Abbiamo chiaccherato per un po', lui ha fatto l'errore di darmi il suo numero e io l'ho tampinato. Aveva appena fatto Latina/Littoria e io ero estasiato. Stava partendo la produzione di Io che amo solo te, il film era a basso budget e cercava un aiuto molto elastico e con poche pretese economiche: io avevo un'esperienza prossima allo zero ma mi ci sono buttato a capofitto e ne sono felicissimo. Da un punto di vista produttivo il film fu un vero miracolo: pochi soldi, poco tempo ma una troupe giovane e motivata con una produzione (la neonata Blue Film) che ha lavorato con passione alla sua riuscita. Molti ragazzi che hanno condiviso con me quell'esperienza sono ora tra i miei migliori collaboratori, in particolare Pina Mastropietro e Mauro Berti. La nota negativa è che il film non ha trovato un canale distributivo: questo è un vero peccato perché è un film coraggioso, onesto, sincero e dignitoso.

A quando il suo primo lungometraggio? Ci stà pensando?
Tommaso Valente: Al primo lungometraggio ci penso da tempo immemorabile ormai. Ho alcune storie ancora nel cassetto: voglio svilupparle in maniera seria e coerente prima di proporle ma presto mi attiverò anche su questo fronte. Ho tre progetti in particolare: una storia d'amore libera e slegata, con connotazioni di genere e contaminazioni tra i sogni e la realtà; un giallo grottesco/antropologico in cui un serial killer uccide delle vecchiette soffocandole nel sonno con un polipo; la storia di un investigatore privato che viene chiamato a svolgere un'indagine su un delitto impossibile di due giovani amanti e resta invischiato nella loro storia d'amore.

Come considera il panorama cinematografico italiano del momento?
Tommaso Valente: Quattro anni fa mi sono laureato con una tesi su un regista attivo e contemporaneo: Salvatore Piscicelli. Ho avuto modo, durante le mie ricerche, di farmi un'idea completa del panorama italiano dalla fine degli anni '70 agli inizi del nuovo millennio: secondo me in questi trent'anni non è cambiato molto. Ci sono stati e ci sono degli autori interessanti, dei buoni esordi e dei dignitosi ricambi generazionali. Tra Garrone, Sorrentino (per citare i soliti) e altri nomi interessanti riusciamo anche ad avere un cinema che si propone all'estero su piazze importanti ma... Questo "ma..." ci frega da decenni. Secondo me se recuperassimo la capacità di raccontare storie interessanti con semplicità e accuratezza, se sfuggissimo al romanocentrismo e ci guardassimo di più intorno (la provincia è solo un esempio tra i grandi esclusi dal cinema italiano), se trovassimo il coraggio di non farci ingabbiare dalle dinamiche troppo spesso solo politiche (e non uso il termine in senso lato ma in senso pieno e proprio), se per fare questo mestiere non si dovesse passare tre quarti del proprio tempo a fare il pr ma ci si potesse concentrare sul mondo, sulla realtà che ci circonda raccontando poi con più onestà e obbiettività le storie e i personaggi, se il sistema produttivo investisse sui nuovi registi e su i nuovi sceneggiatori in maniera sistematica e se all'approssimazione e al solipsismo che ci contraddistiguono sostituissimo la voglia di conoscere e di collaborare, di appassionare, di divertirci e di divertire il pubblico (non solo con la commedia, divertirsi al cinema non è solo ridere) il nostro cinema sarebbe molto più vivo ma... Per me questa è la scommessa della mia generazione: solo se ci scrolliamo di dosso questo sistema e lavoriamo con consapevolezza ai nostri progetti futuri possiamo davvero rappresentare una speranza per il cinema italiano, altrimenti cont inueremo ad avere autori interessanti, qualche film che va all'estero, un mercato altalenante e quel fatidico "ma..." che ci tormenta da tempo immemorabile

Come crede si possa migliorare la distribuzione delle pellicole italiane in sala?
Tommaso Valente: La distribuzione delle pellicole italiane in sala si può migliorare solo se lo spettatore vince la diffidenza ormai atavica verso il cinema italiano: se le grandi distribuzioni italiane puntassero davvero sul nostro lavoro, non alla ricerca di risultati immediati ma con una vera e propria strategia pianificata volta a far sviluppare il mercato in una certa direzione, tra qualche anno se ne potrebbero godere i frutti. Se questo non accade il cinema deve trovare modi di distribuzione e di finanziamento alternativi che puntino a diffonderlo coinvolgendo il più possibile gli altri media. Cambieranno i formati, il linguaggio e i canali distributivi ma le possibilità di diffusione che abbiamo oggi devono essere sdoganate e sfruttate fino in fondo.

23/04/2007

Simone Pinchiorri