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Libero Teatro In Libero Stato


Autore: Flavio Sciole'
Casa editrice: Holy Edit
Anno: 2017
ISBN: 9788894292411
Pagine: 128
Prezzo: 15,00 €

Descrizione: Il libro raccoglie nove testi teatrali di Flavio Sciolè scritti-portati in scena tra il 1993 ed il 2008. Tra gli altri sono presenti ‘Il Re è Pazzo’, ‘Bambole’, ‘Icaro Caro d’oro cosparso’, ‘Cerchi’ e ‘Psicosi atea’. Nel volume sono presenti anche manifesti estetici, testi dell’autore e la teatrografia. Sciolè con Teatro Ateo, in circa un ventennio, ha sfaldato le strutture obsolete del teatro italiano: il suo antiteatro ha fatto irruzione su palchi colmi di polvere, la sua recitazione inceppata ha codificato nuove vie.

Solo nell’ebook troviamo un testo in più: “Nel disincanto suicida” (inedito del 2008), le locandine originali ed una serie di foto degli spettacoli tratte dall’Archivio Sciolè (scatti di Alessandra D’Innella, Antz, Matteo Barale, Anthony Stone, Emanuele Vagni).

Una copia del volume è conservata nella Biblioteca Teatrale SIAE.

Foto cover: Sara Pettinella

Prefazione di Graziano Graziani.

Stralcio dalla prefazione di Graziano Graziani
“…sono però immagini in qualche modo rappresentative di un percorso artistico che si è edificato attorno ad alcuni rovelli come l’afasia, l’autolesionismo, il linguaggio spezzato, l’eloquio inceppato, l’assenza di un referente della rappresentazione – che non può neppure definirsi tale perché non “rappresenta” alcunché – il gusto per la frammentazione semantica, l’esplosione del senso, l’anarchia espressiva che però si esplicita dentro un rigore performativo che Sciolè chiama “antimacchina attoriale”. Perché in un teatro compiutamente ateo tutto è contestazione degli Dei del teatro, la scena si trasforma in antiscena, la drammaturgia in antidrammaturgia, il corpo che occupa il palco è quello di un antiattore, che segue i percorsi di un’antiregia e si muove all’interno di un’antiscenografia. Ma per Sciolè, che interpreta il teatro come una propaggine estrema del radicalismo estetico, luogo antisacro (per dirla attraverso il suo lessico) dove si consuma l’estrema conseguenza di un’arte che – essendo già implosa nel mercato e nell’istituzione – non può fare altro che collassare vertiginosamente su se stessa, per Sciolè dicevamo non è concepibile fermare la propria ribellione prometeica al pantheon ammuffito della prosa o a quello dorato del consumo. Per questo, dietro la sua “antimacchina teatrale” si può leggere un tentativo di decostruzione che tocca perfino gli eroi olimpici della ricerca, su tutti il Carmelo Bene e la sua macchina attoriale, che non possono restare fuori da un’implosione estetica che tutto travolge.”