Fare Cinema
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Max Osini  (07/02/2006 @ 00:00)
Il ritorno di Cagliostro, terza opera di Daniele Ciprì e Franco Maresco, dopo aver rischiato di scomparire nel nulla per una serie di ostacoli produttivi, arriva finalmente nelle sale, non prima di aver effettuato una sortita al Festival di Venezia. Pur riprendendo tutti gli elementi che hanno caratterizzato il duo siciliano da Cinico TV a "Toto che visse due volte", dal bianco e nero allucinato ai vocalizzi infarciti di peti e conati, questo armamentario si indirizza ora al grande pubblico e per forza di cose viene in qualche modo disinnescato, ammorbidito, edulcorato. Niente più dissacrazione caustica, ma una più carnevalesca ilarità che trasforma il grottesco in commedia. Se avessi scritto questa recensione una decina di anni fa, quando pieno di giovenil furore amavo scagliarmi contro ogni forma di compromesso o commercializzazione artistica, avrei potuto benissimo utlizzare termini quali "tradimento", "venduti", "deludente". Ma ora che canuto e senesco osservo il mondo con pietosa comprensione, non posso che apprezzare o perlomeno comprendere questo evoluzione. Dopo tutto sarebbe stato stupido replicare ab libitum "Lo zio di Brooklyn"; dopo tutto il curriculum dei due registi parla da solo in difesa della loro credibilità; dopo tutto il film è comunque piacevole e divertente, nonché uno dei migliori italiani di quest'anno. La storia è quella dei fratelli La Marca, fondatori della Trinacria Cinematografica, una casa di produzione che alla fine degli anni '40, si propone come alternativa agli imperanti Cinecittà e Hollywood. Sostenuti da una serie di loschi figuri tra i quali gangster, politici, nobili decaduti e addirittura un Cardinale, i due produttori riescono a realizzare una serie di film a dir poco mediocri che cadono presto nel dimenticatoio. Anche il loro tentativo più ambizioso, un'opera sulla vita di Cagliostro, nella quale è coinvolto anche un divo americano, fallisce ricacciandoli nell'atelier di scultori dal quale provenivano. Più della trama in sé a interessare il cinefilo incallito sono le numerose citazioni. Troppe per sperare di esaurirle. Vanno citati almeno "Forgotten Silver" di Peter Jackson e "Zelig" di Woody Allen, finti documentari su fantomatici personaggi che sono inequivocabilmente la principale ispirazione dei nostri. E poi Fellini, Murnau, Ed Wood, i Taviani, Welles, Pasolini, Friedkin... Un'altra componente fondamentale nell'economia del film è la costante vis comica fondata sui tradizionali del cinema di Ciprì e Maresco, le interviste sullo stile di cinico TV, un cast formato da trogloditi menomati, le barzellette insistentemente sconce, la costante presenza de "la minchia", il dialetto siciliano più verace... Come molti critici hanno notato, però, il riso si interrompe all'incirca a 20' dalla fine quando interviene un narratore del tutto slegato dal contesto che affievolisce la tensione. Per quanto il film ne risenta, il giudizio complessivo rimane ampiamente positivo, così come la convinzione che questa possa essere la volta buona per i due registi siciliani di raccogliere i frutti di una carriera encomiabile.

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