Fondazione Fare Cinema
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Laurent Coppini  (27/12/2006 @ 17:37)
Film interessante. Il regista riesce molto bene a descrivere la tematica dei sequestri. Una pellicola che coinvolge lo spettatore dall'inizio alla fine, grazie alle emozioni che riesce a suscitare. Colpisce l'innocenza l'innocenza dei bambini di fronte ad un dramma così grosso.
Francesco Chiti  (17/09/2006 @ 19:48)
Bastano le riprese a far amare questo film, in più la storia è ben costruita...
Max Osini  (07/02/2006 @ 00:00)
Con ogni probabilità "Io non ho paura" è il film della maturità di Salvatores, quello destinato a elevarlo da semplice bozzettista generazionale ad artista in grado di affrontare situazioni, psicologie e significati che si elevino a una dimensione universale. E' da diversi anni che il regista milanese tenta questo salto qualitivo (basti ricordare i controversi "Nirvana" o "Denti"), ma è solo con questo film che egli dimostra una convincente perizia nel maneggiare, sia a livello narrativo che registico, contenuti e suggestioni di più ampio respiro. Non è quindi un caso che proprio in concomitanza di quest'opera il cinema Astra di Parma abbia dedicato a Salvatores una retrospettiva approfondita, con tanto di mostra fotografica. Tratto da un romanzo di Nicolò Ammaniti il film narra di come Michele, un ragazzo della assolata campagna meridionale, scopra che nei dintorni viene tenuto prigioniero un bambino suo coetaneo. Si tratta di un rapimento dal quale oscuri figuri, tra cui gli stessi genitori di Michele, si aspettano un lauto riscatto. Il protagonista viene quindi risucchiato in una vicenda nella quale arriverà anche a rischiare la propria vita e che per la sua sequenza di vicende drammatiche costituirà per lui il passaggio traumatico dall'infanzia alla vita adulta. Questa perdita d'innocenza può essere vista come il corrispettivo dell'evoluzione di Salvatores. La sua regia è definitivamente matura, ricca di inquadrature che da sole sono in grado di colpire i sentimenti degli spettatori, dalle lunghe panoramiche di sterminati campi di grano, agli interni ripresi attraverso porte o tende socchiuse, dallo sguardo dell'obiettivo tenuto ad altezza di bambino, alle discese sottoterra in anfratti naturali. Anche l'utilizzo di attori sconosciuti (dei vecchi "feticci" è presente solo Abatantuono, peraltro quasi irriconoscibile) amplifica il distacco dalle opere passate. Il prezzo da pagare per questa maturità è la perdita della mano personale, la cosiddetta "camera-stilo" propugnata dai fondatori dei Chaiers du Cinéma, ovvero il Salvatores inconfondibile di "Marrachech Express" e "Mediterraneo". Si tratta di un tributo irrinunciabile da sacrificare sull'altare del cinema con la C maiuscola, ma che con molta probabilità lascerà ai fan della prima ora un po' di amaro in bocca.

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