Fondazione Fare Cinema
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Francesco Chiti  (17/09/2006 @ 17:01)
Ottimi interpreti per un film molto gradevole
Daniele Baroncelli  (05/09/2006 @ 02:57)
Bel filmetto che si lascia guardare piacevolmente, ed in cui non manca nemmeno una introspezione sociologica.
Simone Cosimi  (07/02/2006 @ 00:00)
Paolo Virzì, col suo ultimo “Caterina va in città”, ha voluto - diciamo tentato - raccontare la classe media. Quella del padre professore e della mamma casalinga, una figlia a carico. Emblema di quelle che finiscono nelle statistiche e che sopportano di più il peso delle vite e degli sprechi altrui. Ha tentato, dicevamo, e per certi versi c’è riuscito. Anche se la sua sesta fatica, nel complesso, è sembrata un po’ intinta di cerchiobottismo ed in parte “mozzata”. La storia è presto detta: Giancarlo Iacovoni, insegnante, viene trasferito a Roma da Montalto di Castro. Con lui tutta la famigliola - una straordinaria Margherita Buy e, soprattutto, una convincente Alice Teghil, nel ruolo della figlia - cercherà di calarsi nella nuova realtà capitolina. Primo errore: non è assolutamente possibile che lo “stacco” sia così netto: Montalto, seppur con tutti i distinguo, non sta sulla luna. Caterina sembra proprio arrivare da lassù. Dicevamo, la nuova realtà. Il film scorre in parallelo fra Iacovoni e la figlia. Caterina svolge un po’ la funzione di joystick per il padre che - viscido quanto basta - tenta, calibrandole le amicizie, di inserirsi nel giro della Roma-bene, sinistroide o neofascista che sia. Seconda campanella (e non errore): il buon Virzì fa di tutta l’erba un fascio. Non è detto che sbagli - a volte mi viene da muovere la testa dall’alto in basso e viceversa -, però rimane il fatto che in tal caso spruzza una bella badilata di cerchiobottismo di cui sopra. Caterina, di conseguenza, naviga fra la “sinistra” e la “destra” della sua classe, legandosi ora alla “zecca” di turno ora alla “fascistella” figlia di un ministro dell’attuale governo di destra (interpretato con dignità da Claudio Amendola). Anche se in terza media, pensandoci bene, non è che si abbiano le idee così chiare. Ma in fondo le amiche di Caterina coltivano una ideologia politica tutta loro. Nel frattempo, la fase della frustrazione fra i genitori: Giancarlo e Agata sembrano ambedue entrare in un vortice senza ritorno farcito di insoddisfazione, astio reciproco, incomprensione e depressione (ed è qui che la Buy si guadagna maggiormente il pane). L’unica - e, tuttavia, rischiaratrice - alternativa è la rottura. Il professor Iacovoni - prototipo dell’inetto dalle insoddisfatte ambizioni letterarie - un giorno partirà per, almeno a quanto ci si dice, non tornare mai più. E forse sarà meglio così. Chiusura ciclica con Caterina che torna a Montalto dove ritrova l’esilarante figura del cuginetto, campagnolo ma più aguzzo di tutti ed in cui vede, forse, il suo gentile alterego maschile. Una pellicola piacevole, della quale si ricorderanno più le singole interpretazioni che la storia - piuttosto maciullata - e che però, nel depotenziamento generale di cui è stato vittima Virzì, ha un gran pregio: mettere a fuoco come sia semplice, per chi vive una vita normale, per la classe media, sfiorare la rovina per la troppa “tensione” ai modelli storti e annacquati che la società diffonde. Sotto questo aspetto, chapeau.

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