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ALMOST DEAD - Claustrofobia e Zombie per l'horror italiano


Il film di Giorgio Bruno corre sul binario di una doppia trappola che blocca la dottoressa Walsh nella sua auto. Un viaggio nella mente del mors tua vita mea. Con Aylin Prandi, Sean James Sutton, Geo Johnson Distribuzione di Europictures con le vendite sul mercato estero, particolarmente ambito, curate da Phoenix Worldwide Entertainment.


ALMOST DEAD - Claustrofobia e Zombie per l'horror italiano
Aylin Prandi in "Almost Dead" di Giorgio Bruno
La forza di un horror risiede nel riuscire, ad ogni semplice cambio d’inquadratura, a scatenare dentro lo spettatore la paura, facendolo sobbalzare sul proprio divano e riaccendendo in lui quell’istinto primordiale della sopravvivenza.

Il film "Almost Dead" di Giorgio Bruno calca la cornice del film horror, ma per diventare qualcosa di più. Le caratteristiche che richiamano il genere del macabro sono ben visibili da subito. Una fotografia desaturata, i toni cupi e scuri per sottolineare la difficoltà e la gravità della situazione accompagnati da una colonna sonora che carica ancora di più l’inquietudine della scena.

Al centro della storia c’è Hope Whals risvegliatasi imbavagliata e con un’amnesia dopo un violento incidente in auto. Si troverà, senza non pochi problemi, a ricostruire quello che è successo grazie all’aiuto di un telefono, unico mezzo di contatto con il mondo esterno. La sua avventura, tra crolli emotivi e crisi, non sarà semplice, oltretutto a rendere ancor più complessa la situazione ci sarà un’orda di zombie pronta a divorare la protagonista al primo passo falso.

L’arma efficace di questo film è la tensione, che trasforma lentamente un horror in un vero e proprio psicodramma. L’utilizzo di un’ unica ambientazione, ovvero la macchina con cui Hope si è schiantata, seppur in alcuni momenti appare troppo statica, nel complesso aiuta a caricare ancor più l’angoscia delle scene.

L’evoluzione del contesto e della protagonista avviene in maniera costante, in un climax ascendente di inquietudine, ma in maniera così delicata che lo spettatore, senza accorgersene, si trova imprigionato, senza via di fuga, in un’ambiente teso e terrificante. Lentamente, gli zombie e la loro pericolosità, in questo quadro, si trasformano in semplici comparse, cedendo il monopolio della scena ad una riflessione ben più grande: “chi deve morire e chi deve vivere?”.

È la vittoria non dello splatter, o dell’horror carnale al quale siamo abituati. Il voler puntare sul sentimento e sulla coscienza umana in un contesto apocalittico funziona, creando un contrasto fra realtà ed impossibile che però sembra rende tutto paurosamente vero.

L’ansia e il terrore si mescolano con il mondo che ha fatto del pensiero “mors tua vita mea” la legge della quotidianità, spingendoci a chiederci: cosa siamo disposti a fare per poter sopravvivere un giorno in più?

29/01/2017, 10:51

Alfredo Toriello