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Note di regia di "Prima il segno, poi il suono"


Note di regia di
Prima il segno, poi il suono è un film sulla creatività e la serietà dei giovani, gli allievi del Conservatorio Puccini, e di una città, La Spezia che in questa creatività e serietà investe tempo e denaro, come nell’istituzione di strutture di ricerca e conservazione come il CAMeC.
Proprio dal CAMeC, da un’idea di Cristiana Maucci ed Eleonora Acerbi, di concerto con Andrea Nicoli, docente di composizione al Conservatorio Puccini, è nato lo stimolo che ha portato a questo film: far scegliere agli studenti di composizione, nella vasta collezione del Museo, sette opere contemporanee e far loro creare delle composizioni “ispirate” a queste opere. Un progetto entusiasmante per i giovani compositori, che lo hanno sposato totalmente, non limitandosi ad ispirarsi alle opere di riferimento, ma creando se è possibile la trasposizione in musica dei concetti e dell’ispirazione estetica che li sorregge. Un compito arduo che i giovani, con la temerarietà che li contraddistingue, se ben guidati, hanno colto in pieno. I quadri che hanno scelto, concentrati tutti nella sala finale dell’esposizione “Dal disegno al segno - Da Fattori a Sol LeWitt”, spaziano nel repertorio nazionale e soprattutto internazionale dell’immensa collezione Cozzani, donata al CAMeC: dai maestri dell’informale e dell’astrazione Mario Nigro, Georges Mathieu, Michel Seuphor ai più contemporanei artisti concettuali Roman Opalka, Agnes Denes e Sol LeWitt. Informale, astratto, concettuale. Apparentemente le più ostiche e intraducibili opere d’arte contemporanea. Non una suggestione figurativa che possa indurre a indulgere in uno spunto melodico-nostalgico. E invece avviene il miracolo. I nostri sette compositori, appartengono al presente e al futuro della musica contemporanea, come il Maestro Nicoli che li coordina. E arte e musica dagli inizi del ‘900 in avanti, hanno subìto gli stessi traumi e scossoni: si sono liberate della schiavitù del verosimile, l’arte, del vincolo della tonalità, la musica e da allora viaggiano parallele, a volte intersecandosi, nel terreno impervio ma stimolante della libertà, fuori dai parametri, dai codici, dagli automatismi imitativi. Musica contemporanea-arte contemporanea. Un binomio di forme d’espressione che dall’esterno può dare l’impressione di chiudersi in un autismo disturbante “contro” lo spettatore e il fruitore, ma che invece compie il miracolo, si diceva: le due arti si rispecchiano e si spiegano vicendevolmente, diventando intellegibili e quindi come tutte le cose che finalmente riesci a capire, godibili. Il film registra questa epifania e cerca di interpretarla. Andando a filmare le prove nella splendida cornice floreale del Conservatorio, ho scoperto la serietà e la tensione utopica di questi giovani compositori, dal quindicenne Marcello Marianetti, che con talento inconsapevole coglie in pieno l’astrazione e ossessione geometrica dei segni di Mario Nigro, paralleli e a volte divergenti alle corde della sua chitarra; a Roberto Pellegrino, che stampa addirittura sulla partitura il segno forte, lirico e gestuale di Mathieu, e riesce con la sua fisarmonica a renderne la potenza timbrica, ma anche la polverizzazione melismatica dei ghirigori lievi dell’artista; melismi che ritroviamo nella partitura scritta per “riprodurre la poetica dei frattali” da Federico Favali e nella voce del soprano Felicita Brusoni, che la interpreta in full immersion lirico-gestuale, partendo dal diagramma di Smith che Agnes Denes ha usato, non per registrare l’impedenza, o la resistenza, ma le emozioni e le nostre resistenze interiori, e i condizionamenti esteriori che ne impediscono l’espressione. Il diagramma in cui la Denes con semplicità espositiva, la stessa dei suoi campi di grano impiantati nel centro di città, a Milano o a New York, cerca in modo quasi adolescenziale, come in una mappa concettuale all’esame di maturità, di governare le leggi del mondo per comprenderlo, serve ad Aleksei Jaropolov per la sua composizione per il flauto di Laura Basteri, la cui linea melodica e armonica ben si sposa con le curve emozionali del disegno. Altrove una malinconia esistenziale adolescente caratterizza la composizione di Matteo Bogazzi, che sente di voler affiancare la già ineluttabile ossessione del tempo in Roman Opalka, messa in tela e carta dall’artista dal 1965 in avanti con la serie “da 1 a ∞” con milioni di numeri in file inesorabili, e in fotografie “selfie” ogni sera, con la stessa non-espressione dal ’72 alla morte, con tre versi di Cesare Pavese, contemporanei di “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. E la musica che ne scaturisce, che il clarinetto di Veronica Nosei mette bene in evidenza, vive di questo dualismo: una bruma lontana e gutturale di note basse, che per me è stato agevole individuare nella sovraimpressione ritmata dei numeri di Opalka, alternata ai gridii, laceranti come di uccelli notturni, del registro sovracuto, che spezzano “i cerchi sull’acqua”, e che io ho fatto coincidere con il bianco abbacinante degli autoscatti dell’artista. Analogo dualismo Damiano Mainenti ha riscontrato in Michel Seuphor, tra geometrismo del fondo, e gestualità di lampo, del collage bianco-giallo che l’artista ha applicato a romperne la fissità. E il contrabbasso di Sofia Bianchi, rende bene, sia il mare immoto delle lunghe arcate su note basse, che gli improvvisi pizzicati dei lampi, resi con gesti fisici, imperiosi. Jacopo Simoncini infine ha reso di plastica evidenza la sua geniale lettura del disegno di LeWitt. Le 21 linee che partono o arrivano a raggiera dal centro del riquadro, sono diventati 21 frammenti di linee musicali, sparsi sulla partitura e da leggersi ad libitum dal sassofonista Thomas Luti, che potrà, come ha fatto in prova al Conservatorio e la sera della performance al CAMeC, eseguire ogni volta in una sequenza diversa. Anche qui per me rendere visivamente questa lettura concettuale è stato semplice e stimolante, affiancando paralleli i pentagrammi di Simoncini alle linee aleatorie di LeWitt. Il 20 aprile tutto questo lavoro è confluito magicamente nel pomeriggio al CAMeC, dove compositori e musicisti hanno potuto eseguire i loro pezzi di fronte alle loro opere di riferimento, intervallati dalle efficaci introduzioni dei quadri e degli artisti di Cinzia Compalati, davanti ad un pubblico attento come non mai, in un’atmosfera tesa e partecipe. E dove io ho potuto coronare il mio percorso di conoscenza vedendo e inquadrando, finalmente abbinati, quadri e composizioni. Il primum movens, sempre nei miei film è infatti, da “curioso di professione”, scoprire mondi e attitudini diversi, e cercare di capirli e spiegarli, innanzitutto a me stesso e poi a tutti. Spero anche questa volta di esserci riuscito.

Fulvio Wetzl