Fondazione Fare Cinema
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FFF18 - "Psiconautas" e "On The White Planet"


FFF18 -
Psiconautas
Che il cinema d’animazione non sia un genere ma un macro-mondo che, al suo interno, contiene generi, filoni e tendenze anche molto differenti tra loro è un’idea che forse, nell’opinione più diffusa del nostro paese, non ha ancora preso piede. Ne è un esempio l’animazione rivolta dichiaratamente ad un pubblico adulto, che affronta tematiche impegnate o scabrose, volutamente drammatica o tragica e che non si pone molti limiti nella rappresentazione della violenza o di altri elementi “forti”. Filone che, nonostante l’impatto di un film come Valzer con Bashir, nel nostro paese fatica a trovare successo al di fuori di una nicchia di appassionati ed esperti: da noi la concezione del film d’animazione per adulti rimane in ogni caso legata ad un’opera sì più stratificata, ma ad ogni modo sotto molti aspetti tradizionale, come i prodotti della Pixar o dello Studio Ghibli (che poi molti di questi film siano capolavori è un altro discorso). Il Future film Festival è prezioso anche perché offre esempi di questo filone “vietato ai bambini” altrimenti difficilmente visibili, come i due film che, al momento, sono stati il migliore e il peggiore di questa edizione: Psiconautas degli spagnoli Alberto Vàzquez e Pedro Rivero il primo, e On The White Planet del coreano Hurm Bum-wook il secondo.

Il primo è tratto dall’omonima graphic novel e ha già avuto una trasposizione cinematografica con il cortometraggio Birdman: piccoli animali antropomorfi vivono in un’isola messa in ginocchio da una catastrofe ecologica, dove fanno da padrone il degrado, la disperazione, la solitudine, la mancanza di speranza e di futuro e la voglia di fuga. Un luogo quasi post-apocalittico in cui è difficile avere una giusta percezione, in particolare di sé, vuoi per i traumi e i ricordi del passato, per il consumo di droga o per le voci che rimbombano in testa. Il tratto gentile con cui sono resi i personaggi, perlopiù giovani e adolescenti, contrasta con la durezza delle tematiche affrontate e allo stesso tempo definisce i giovani protagonisti sia come vittime che come simboli di una vaga speranza di ribellione e salvezza. Psiconautas è un racconto cupo e tragico, quando serve crudo, ma capace sia di costanti inserti grotteschi ed ironici che di momenti melodrammatici e romantici carichi di speranza e di tenerezza. È un film cupo ma non nichilista, che tratta tematiche delicate e atmosfere rischiose con una certa leggerezza e con poesia, senza che queste impediscano all’opera di essere efficace, dura ed incisiva.

Il discorso opposto si può fare per il coreano On The White Planet: in un pianeta dove tutto, persone e cose, è bianco nero, il giovane Choi è suo malgrado colorato e per questo emarginato e perseguitato, fin dall’infanzia: sempre più disperato e rabbioso, cade in un vortice d’odio e di violenza implacabili, anche perché la sua rabbia viene sfruttata da un gruppo di cinici e violenti criminali. Il film vuole essere una visionaria metafora del razzismo e della paura del diverso, raccontata sulle coordinate di un nichilismo assoluto e sulla più che esplicita rappresentazione della violenza, in un’ottica di eccessi che coinvolgono personaggi in cui non c’è la minima ombra di positività. Il problema è che tutto ciò non è abbastanza filtrato né rielaborato, a livello registico, narrativo e di definizione dei monocordi personaggi; così, non diventa mai veicolo di un discorso altro. Il grand guignol appare, man mano che il film avanza, sempre più come fine a se stesso, rischiando di cadere nel ridicolo involontario (la sequenza del cerbiatto). Non è certamente un problema la violenza esplicita di per sé (come può dimostrare il commento a Psiconautas poche righe sopra), quanto la mancata sua rielaborazione cinematografica. Così, vengono vanificati un paio di momenti a livello strettamente grafico estremamente affascinanti, decisamente insufficienti a salvare il film.

Edoardo Peretti

07/05/2016, 08:43