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Note di sceneggiatura di "Non dirlo al mio capo"


Note di sceneggiatura di
Ha pensato a tutto. La macchina, una vecchia station wagon con l'adesivo “Bebè a bordo”, l'ha parcheggiata a due isolati di distanza. Ha tolto la foto dei figli dallo schermo del cellulare, buttato nel secchio il portachiavi portafortuna con scritto “Mamma Ti Vogliamo Bene”, cancellato dal computer ogni riferimento alla sua prole. Ha fatto tutto questo Lisa. Sì perché la prole è, viste le circostanze, il Nemico. La prole ti fa venir voglia di tornare a casa, e tu a casa non ci devi tornare mai. La prole vuole essere portata al parco la domenica. E invece la domenica si lavora. La prole qualche volta si ammala e pretende addirittura di essere curata. Stolta la prole. La prole, orrore degli orrori, va nutrita! E il cibo, nel nuovo ufficio di Lisa, è quasi più nemico della prole, perché mangiare ruba tempo al lavoro. Insomma, la prole va abbattuta. Non fisicamente, quello non si può. Ma se per caso ne sei dotata, la devi nascondere. Cosa che Lisa, oggi al suo primo giorno di lavoro nel prestigioso studio legale Vinci, è certa di aver fatto benissimo! Del resto quel lavoro le serve, il marito è morto lasciandola sul lastrico, oltre che spezzandole il cuore per la perdita e per la scoperta del prolungato tradimento con una certa Virginia. Lisa entra nell'ufficio e si sente a posto. Ha tolto gli stivaletti tacco zero con cui vive in simbiosi, ha indossato il tailleur comprato per la sua laurea. Tutta tronfia si dirige verso l'ufficio di Enrico Vinci, il nuovo affascinantissimo e misoginissimo capo dello studio... "Andiamo Simona", "Veramente mi chiamo Lisa". Lo sguardo che ne segue significa: per me potresti chiamarti pure Osvaldo. Non me ne frega niente. Voglio solo che mi segui e che lavori. E Lisa sul lavoro, sorprendentemente, è brava. Se le sue conoscenze in materia legale sono solo teoriche, con le persone ci sa fare. Quindici anni con la prole le hanno insegnato a capire al primo sguardo chi mente, chi bluffa, chi ha paura. Ed ecco che una battuta giusta di Lisa mette improvvisamente a loro agio le persone e svela sottotesti che ad un avvocato non sono comprensibili. "E brava Lucilla", "Lisa", "Chi è Lisa?". Niente, sul nome non c'è verso. Inizia così “Non dirlo al mio capo!”, una serie che per me è stata particolarmente divertente da scrivere, perché parla di noi. Di tutte quelle donne che percorrono la quotidiana esistenza come fosse un percorso ad ostacoli, evitando con un salto carpiato le sfuriate del capo, mettendo le mani a scudo di fronte al “lo dico per te” delle mamme, sgusciando oltre i consigli sconclusionati delle amiche, facendosi crescere mille braccia per rispondere alle richieste dei figli. Cercando l’amore. Perché questo fa Lisa, si moltiplica. Non solo fisicamente, ma anche psicologicamente. Due Lise le appaiono infatti negli specchi: Lisa/mamma (una versione di lei anni cinquanta, perfetta come una barbie) e Lisa/single (una supergnocca che odia i bambini e pensa solo a se stessa). Come scrivere tre personaggi in uno? Come modulare la stessa voce in tre frequenze? Ecco è stata la sfida di questa serie, almeno per me. Ho provato e riprovato. E la risposta è arrivata guardandomi allo specchio, guardando le mie amiche: dovevo amarle tutte e tre. Accettarle per quello che erano: insicure, goffe, a volte presupponenti. Alla ricerca impossibile di un equilibrio che non esiste. Ma anche molto simpatiche, buffe, sincere. Imperfette. Come tutte noi.

Elena Bucaccio

27/04/2016, 08:19