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ENZO G. CASTELLARI - "Ho amato The Hateful Eight"


Il regista romano ci ha parlato del nuovo film di Quentin Tarantino e del rapporto di stima e amicizia che lo lega al grande autore di culto.


ENZO G. CASTELLARI -
Per la sua prima a Roma di "The Hateful Eight" in 70 mm, il Premio Oscar Quentin Tarantino ha voluto esattamente 888 ospiti.
Ma tra i numerosi uomini di cinema intervenuti il 28 sera a Cinecittà per la proiezione, solo due sono stati citati dal regista americano nel corso della sua presentazione: Franco Nero ed Enzo G. Castellari.

E proprio al regista romano abbiamo chiesto un parere sull'ultima opera di uno degli autori più geniali e di culto del cinema contemporaneo, e sul suo rapporto di stima e amicizia che lo lega a Tarantino.

Da maestro e cultore del genere western, che idea si è fatto di "The Hateful Eight"?
Il film mi è piaciuto infinitamente, perchè ci vuole un grande coraggio a mettere in scena una storia quasi completamente in ambiente chiuso, una stazione di posta della diligenza che diventa claustrofobica. Ma la grandezza che riconosco a Tarantino è soprattutto nella scrittura, perchè riesce a scrivere dei dialoghi che sono essi stessi il film. Poi c'è la parte cruenta e tarantiniana che mi ha molto affascinato, anche perchè la realizza strizzando sempre l'occhio allo spettatore, e sembra quasi dirgli "guarda un po cosa sono stato in grado di farvi vedere". L'ho gradito molto e spero che piaccia al pubblico.

Il rapporto di amicizia che la lega a Tarantino è cosa nota, ma può raccontarci cosa accadde la prima volta che vi siete incontrati?
Mi era stato riferito che in diverse interviste Tarantino aveva dichiarato il suo interesse nei riguardi miei e dei miei film, ma non c'era stato nessun contatto diretto. Poi un giorno, con mio grande stupore, fui contattato dal Festival del cinema di Venezia, che lo voleva come ospite. Mi dissero che Tarantino sarebbe arrivato sul Lido veneziano solo se fosse stata organizzata una rassegna di cinema italiano di "Serie B". Conosceva perfettamente quel cinema, ma non lo aveva mai visto sul grande schermo. L'evento è stato straordinario perchè alla proiezione di "Quel maledetto treno blindato" partecipò un'infinità di giovani, e quando arrivò sentii prima i suoi passi pesanti e poi il grido "maestrooooooo", seguito da una corsa e da un forte abbraccio. Assistetti alla proiezione del film seduto tra lui e Joe Dante e Quentin che conosceva a memoria le battute si divertì ad anticiparle e a tirarmi cazzottoni sulla spalla. Alla fine della proiezione avevo una spalla gonfia, ma fu bello vederlo balzare in piedi ad applaudire e a ripetere "my master, my master!".

Amando alla follia il suo cinema, Tarantino non poteva che perdere la testa anche per il suo attore feticcio Franco Nero...
Quando c'è stata la proiezione a Roma di "Bastardi senza gloria", Quentin mi chiese di esaudire un suo grande desiderio, presentargli Franco Nero. Fissammo allora per pranzo un tavolo all'aperto dal Bolognese a Piazza del Popolo, e una volta incontrato Franco iniziò a citargli i film che aveva interpretato e, sorprendentemente, a canticchiare le canzoni delle colonne sonore. Alla fine gli chiese di togliersi per un attimo gli occhiali da sole, e quando Franco mostrò i suoi occhioni azzurri, Quentin sussurrò "Djangoooooooooo". Ecco, probabilmente aveva già in testa di fare il suo "Django", ma quel pranzo romano fu decisamente fatale.

In occasione della realizzazione di "Bastardi senza gloria", Tarantino la volle per un cameo. Da collega, osservandolo da vicino sul set, cosa l'ha colpita maggiormente del suo metodo di lavoro?
Mi invitò agli stabilimenti fuori Berlino dove stava girando il film perchè, dal momento che nel mio "Quel maledetto treno blindato" facevo un cameo in cui gridavo "fire!", voleva che facessi lo stesso per il suo film. Per questo primo piano mi fece stare un mese sul set, e fu un'esperienza meravigliosa perchè mi permise di vederlo lavorare giornalmente. Fui molto sorpreso nello scoprire che gira con una sola macchina da presa, dietro alla quale sta lui stesso. Per i dolly e altre inquadrature più particolari non vuole un operatore di camera, ma il suo direttore della fotografia Robert Richardson, con cui è completamente in simbiosi. Per uno come me, che ha dedicato la propria vita al cinema, stare dentro un ambiente dove si ama solo e soltanto il cinema è fantastico. Al termine di ogni giornata fa ripetere a tutti "noi amiamo fare il cinema" e il sabato li obbliga a vedere tutti insieme un film da lui scelto. E poi alla fine di ogni inquadratura portata a termine, fa partire la musica ad altissimo volume, un giorno va per l'opera, quello dopo per il flamenco, poi la rumba e così via sempre.

La sua carriera iniziava esattamente cinquant'anni fa con "Pochi dollari per un massacro" e "7 winchester per un massacro". Quale reputa il suo film più riuscito e quale invece pensa che sia a il suo più grande rimpianto?
Cominciamo dal rimpianto. Franco Nero è molto amico di Oliver Stone e un giorno ricevette un copione meraviglioso, "Cover-up", che raccontava la storia del rapimento della figlia del Presidente degli Stati Uniti e che Franco avrebbe potuto interpretare. A Roma tentammo in ogni modo di trovare un produttore interessato, anche perchè Stone aveva già vinto l'Oscar per la sceneggiatura con "Fuga di mezzanotte", ma non ci riuscimmo viste le difficoltà a lavorare su un copione in americano. Poi quando Stone fu conosciuto anche come regista, qualcuno tornò indietro per provare a rimettere in piedi il progetto, ma ormai era tutto finito. Quella sento che sia stata un'occasione persa. Il mio film preferito è invece "Keoma", anche se ultimamente ho rivisto "La polizia incrimina, la legge assolve" e "Il cittadino si ribella", che reputo capisaldi della mia cinematografia, e "Il grande racket" che è un film attualissimo.

Dopo essere stato citato da Tarantino, nel 2009 ha voluto ricambiare citandolo nel titolo del suo "Caribbean Basterds". Da dove nacque quell'esperienza?
Beh, quella è stata una scommessa. Ero a Latina, appena uscito da una conferenza con dei ragazzi delle scuole, e trovai una telefonata di un organizzatore che mi proponeva un film da girare sull'Isola Margherita. Amando molto i Caraibi decisi di farlo senza nemmeno voler chiedere troppo sulla storia. Dove pensavo di trovare una bellezza naturale, ho scoperto invece un posto violentissimo, brutto e in cui si vive davvero male.

E guardando al futuro, c'è qualche colpo nella sua winchester?
Si, stiamo preparando un progetto e appena saranno confermati i nomi lo comunicheremo, perchè è davvero qualcosa di straordinario.

30/01/2016, 17:28

Antonio Capellupo