Festival del Cinema Città di Spello e dei Borghi Umbri
!Xš‚‰

FdP 56 - Intervista al regista Pierfrancesco Li Donni


FdP 56 - Intervista al regista Pierfrancesco Li Donni
In un momento in cui in seguito ai fatti di Parigi tornano alla ribalta discussioni di natura xenofoba ad opera di politici e testate giornalistiche, in un'Italia che ha seria difficoltà a trattare un tema come lo Ius soli, arriva al Festival dei Popoli il documentario "Loro di Napoli" che racconta il meraviglioso esempio di integrazione rappresentato dall'Afronapoli United. Il regista Pierfrancesco Li Donni ci racconta quali sono stati i problemi maggiori attorno alla squadra e come si riesce a stare dietro a dei personaggi particolarmente incontrollabili dentro e fuori dal rettangolo verde.

Hai seguito la squadra lungo due stagioni, restituendo nel tuo film l'idea di forte integrazione. Che aria si respirava attorno alla squadra andando in giro per i campi di periferia? Ci sono stati casi di razzismo che avete percepito nell'aria?
Attorno all'Afronapoli United c'è una grande simpatia, ma un aspetto che non è venuto fuori è che nei campi di periferia è molto presente un atteggiamento spesso camorristico. C'è da dire che ai ragazzi non importa affatto perchè sono già integrati, soprattutto alcuni personaggi. La cosa divertente è addirittura qualcuno di loro, vedi Adam, prende in giro i suoi stessi compagni chiamandoli "negri" o declina il verbo all'infinito per farne il verso. E poi c'è Antonio, un presidente che fa da padre a tutti questi ragazzi, grande esempio di antirazzismo di cuore. Napoli ha un tessuto calcistico molto strano, con una tifoseria molto di sinistra e tantissime squadre di terza categoria venivano dai centri sociali o avevano nomi come la "Stella rossa" o la "Lokomotiv Flegrea". Non c'era razzismo, ma al massimo accusavano la squadra di essere mediatica e di sfruttare la cosa a loro favore, il che in parte è vero e in parte no. Quello che volevo raccontare era un pezzo d'Italia in cui si manifesta un'intergrazione compiuta dentro un sistema sociale incompiuto.

Il nemico più grande per la società sportiva non è stato dunque il razzismo, ne gli avversari in campo, facilmente battuti uno ad uno, ma la burocrazia italiana. Che trattamento è stato riservato al club lungo il percorso federale?
Certamente c'è stata un'attenzione particolare nei confronti della squadra, perchè anche da un punto di vista politico sono riusciti a sfruttare la situazione. L'Afronapoli fa il boom mediatico dopo la strage di Lampedusa, nel momento in cui c'era una partita della Nazionale da disputare, se non erro Italia - Armenia per la qualificazione agli Europei. L'allora Presidente Abete venne a Napoli, si appassionò alla storia e quindi la FIGC Campana cercò di velocizzare alcune pratiche, che poi venivano lo stesso bloccate dalla burocrazia, con dietro gente che se ne approfittava anche. Ho trovato dietro alla Federazione Campana un atteggiamento che ricordava la buona democrazia cristiana, quella che mangiava e faceva mangiare. Una disponibilità incredibile ma perchè magari conveniva.

Negli ultimi anni non si comprende se sia più il cinema documentario a strizzare l'occhio alla finzione, o se viceversa la finzione si stia lasciando influenzare dalla realtà. Quanto del tuo lavoro è frutto dell'osservazione e quanto è figlio di una buonissima scrittura, che a volte si percepisce in maniera palese?
Per i primi sei mesi del film ho fatto osservazione dura e pura, poi chiaramente ci sono state una serie di scene che abbiamo ricostruito, come l'iscrizione alla FIGC o alcune scene che avevamo vissuto e ho fatto ripetere a favore di camera. Lavoravo molto sui provocatori e ad esempio Adam veniva avvisato di ciò che doveva dire alla madre, che rispondeva in maniera reale. Ho poi capito il valore cinematografico di questi ragazzi e inizialmente li riprendevo senza parlare loro, perchè non conoscendo l'ambiente temevo di essere sovrastato. Poi ho iniziato a portarli in macchina, cercando di stare dietro ai loro atteggiamenti anarchici, e ho detto al mio direttore della fotografia di accendere la macchina da presa, riprendendo quei discorsi che sono nel tempo diventati una cifra stilistica del film. Molto arriva da loro, come la scena in cui Adam si pettina in bagno, avvenuta durante il secondo giorno di riprese e che era già perfetta. I Napoletani hanno uno spessore di presenza scenica imparagonabile. Puoi sbagliare il film ma non toppi mai i personaggi. Sono incontrollabili ma il film te lo fanno loro.

30/11/2015, 23:00

Antonio Capellupo