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"Il tempo dell'inizio" di Luigi Di Gianni in dvd


Girò in lungo e in largo i territori dell’ex-Jugoslavia Luigi Di Gianni per scegliere le location de “Il tempo dell’inizio”, un film di quarantuno anni fa di non facile collocazione nella cinematografia italiana per non dire di quanto sia stato bistrattato.

Ma come Pasolini, che inizialmente voleva realizzare il suo Cristo nei territori della Palestina, Di Gianni si convinse di portare la troupe in Basilicata, tra Craco, Pisticci, Matera e le sue Chiese Rupestri (altra location è il real albergo dei poveri di Napoli). Dall’ex-Jugolslavia, però, il regista fece arrivare Sven Lasta (1924-1996) - attore teatrale croato molto conosciuto e amato in patria - a cui affidò il ruolo di David Lamda, un internato di un manicomio che tenta la fuga ma viene subito riacciuffato e sedato.

L’uomo si ritrova così a vivere un delirio visionario, immagina (o sogna) di muoversi in una realtà orwelliana in cui un sistema di potere (e del male) ben strutturato agisce per cassare la libertà dei sudditi ed imporre un terrore che rimanga impresso nella loro mente. Un girone infernale dilatato a dismisura con la sua popolazione compiacente della sottomissione a cui è sottoposta e che Lamda sembra non voler accettare e cerca una propria salvezza che, naturalmente, non troverà. Il ritorno alla realtà non sarà per lui meno scioccante, il caos anche qui impera, il deflagrare delle armi e l’avanzare di un carro armato che andrà invadere tutta la superficie dello schermo annunciano altre destabilizzanti e deprimenti condizioni.

Con questo trattato claustrofobico Di Gianni segue traiettorie cupe nel cui destino dell’uomo sembra esserci sola la dannazione. Rimesso in circolazione nel formato dvd dalla General Video, “Il tempo dell’inizio” con il suo bianco-nero, curato dai maestri Mario Masini e Gianni Acquari, va alla ricerca di un paesaggio visivo in sintonia con l’ossessiva narrazione e quando la macchina da presa rallenta il suo movimento, per scandagliare i volti (e il loro stato emotivo), ecco venir fuori canovacci del cinema di Dreyer.

Nel film non manca qualche richiamo a quel realismo magico con cui Di Gianni è andato affermandosi maestro del genere etno-antropologico, ma è vero quanto attesta nei contenuti-extra del dvd il critico Valerio Monacò che il regista (oggi quasi novantenne), alla stregua di Lucio Fontana nell’arte, riesce ad aprire squarci, feritoie, il suo cinema è un inganno visivo, non appartiene né al passato né al futuro, dimostra solo come l’essere umano cammini in un tempo perennemente d’inizio lungo l’arteria della sua autodistruzione.

31/07/2015, 14:31

Mimmo Mastrangelo