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BIF&ST 6 - Ettore Scola: il cinema è sempre politico


In una master class fiume al Petruzzelli, il maestro ha tracciato un excursus sul cinema, le manie dei divi e le polemiche con cui furono accolti alcuni suoi film


BIF&ST 6 - Ettore Scola: il cinema è sempre politico
Ettore Scola
È la giornata particolare del maestro Ettore Scola quella di oggi al Bif&st. Già presidente della manifestazione, il regista che non perde una proiezione dei film in cartellone, ha ricevuto il premio Fipresci 90 Platinum ed è salito sul palcoscenico del Teatro Petruzzelli di Bari per tenere la sua master class.

Parlando a una platea gremita soprattutto di giovani, gli stessi che alle 9 hanno visto Una giornata particolare, Scola ha parlato di cinema a 360 gradi da quello fatto da lui a quello dei colleghi, passando per tanti aneddoti legati a figure storiche della settima arte con cui ha avuto la possibilità di collaborare. “Fin da subito si affermarono due filoni ispirativi differenti del modo di fare cinema: da un lato troviamo i Lumière che rappresentavano la realtà, e dall’altro lato c’era Méliès che con Viaggio nella luna ha inaugurato il cinema di fantascienza. Senza il cinema, al pubblico sarebbe mancata una fonte d’idee, di dubbi e sarebbe stata più vuota tutta l’umanità. Se non avessi fatto il cinema – prosegue il regista – forse avrei fatto il calzolaio o il falegname”.

Tra i momenti di maggior soddisfazione del maestro il lavoro con Totò: “Scrivevo le battute nelle sceneggiature di alcuni suoi film. Come certi passaggi della famosa lettera in Totò, Peppino e la Malaffemmina. Mio è quel passaggio con il profluvio di punteggiatura (punto, punto e virgola, due punti. Ma anche la moria delle vacche). Una volta gli lessi un copione, e lui rise. E’ stato come vincere un Oscar, il mio primo e unico”. Il regista svela anche le idiosincrasie degli attori che ha avuto come protagonisti. In particolare come riempivano le lunghe attese sul set tra una ripresa e l’altra. “Jack Lemmon faceva miriadi di cruciverba. Vittorio Gassmann scriveva le piéce teatrali su fogliettini che poi gli rubavo e rinfacciavo: li teneva da tutte le parti. Nino Manfredi si ripeteva la parte e più la pausa era lunga e più era contento. Marcello Mastroianni passava la vita al telefono, aveva sempre le tasche gonfie di gettoni, chiamava il suo avvocato Giovanna Cau per sapere che aveva fatto la sera prima, con chi era andata a cena e di che avevano parlato. Alberto Sordi si divertiva come un matto a dar fastidio alle maestranze, invece Massimo Troisi cantava canzoni tristi come lui. Una in particolare del ‘500 napoletano, Fenesta Vascia”.

Quanto ai suoi film, il regista ricorda come alcuni fecero molto discutere. È il caso de La terrazza in cui un gruppo di cinquantenni scontenti di sé si ritrovano per piangersi addosso. “Mentre lo scrivevo con Age e Scarpelli pensai che qualcuno potesse rimanerci male, invece si arrabbiarono tanto da scatenare polemiche sui giornali, veri e propri dibattiti e fazioni pro e contro il film. L’onorevole Faiella, Moravia, Scalfari e Beniamino Placido si rividero nei protagonisti ed erano convinti che li volessi prendere in giro deliberatamente. Macchè erano solo degli archetipi. Qualcuno disse che era un film politico come se ci fosse qualcosa di male. Tutti i film sono politici, anche Dumbo. La politica è vivere associati, due uomini che s’incontrano per la strada fanno politica. È un dato di fatto. Feci arrabbiare anche Pertini per il film La famiglia: trovava assurdo che avessi voluto far fare il professore al mio protagonista, un ignavo per eccellenza. Mentre per lui un uomo di cultura, un educatore non può essere uno che non si espone mai. Diceva che avevo esagerato”. Non sono mancati rimandi alla politica attuale e uno sprone ai giovani: “I giovani registi italiani sono all’altezza dei loro predecessori, ma non hanno un orizzonte comune dove spingere il loro sguardo. Noi sapevamo dove guardare, sapevamo che dovevamo partecipare. Tra noi non c’era rivalità, ma avevamo la voglia di fare qualcosa per il Paese cui volevamo bene. Che amiate o no questo paese voi giovani – ha detto Scola alla platea – avete il dovere di raddrizzare le cose. Non pensiate che lo faccia Renzi”. Poi, incalzato dalle domande il cineasta è tornato a spiegare l’annuncio che fece anni fa circa la volontà di non dirigere più. “Avevo detto che non avrei più fatto film finchè ci fosse stato Berlusconi perché all’epoca lavoravo con Medusa e lui per dimostrare il suo liberismo dichiarò che faceva fare i film ‘anche ai comunisti come Scola’. Quella frase mi irritò al punto da abbandonare un film già in preproduzione con location e contratto del protagonista già firmato, era Depardieu. Da allora sono tornato sulla decisione solo per "Che strano chiamarsi Federico", anche se per me non è un film, ma un biglietto affettuoso a un amico”.

In una master class fiume al Petruzzelli, il maestro ha tracciato un excursus sul cinema, le manie dei divi e le polemiche con cui furono accolti alcuni suoi film.

25/03/2015, 08:19

Valentina Neri