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Note di regia di "At 7 o'cloth - L'Uomo che Cuce il Tempo"


Note di regia di
Nel piccolo cimitero di un paesino del profondo Sud della Puglia, un uomo, che pure dovrebbe saperne qualcosa del suo “mestiere”, non vuol proprio accettare l’idea che la morte possa rappresentare la fine di ogni desiderio, aspirazione e possibilità delle anime che lo circondano. Inizia così “At 7 o’ cloth - L’uomo che cuce il tempo”, cortometraggio di due registi pugliesi, il barese Ezio Azzollini e la manduriana Lucia Perrucci. Ed è proprio a Manduria che l’opera, primo lavoro dietro la macchina da presa per entrambi, è stato girato.
Un’opera prima che ha riservato già sorprendenti soddisfazioni: nel giro di due mesi si è aggiudicata la palma come miglior cortometraggio nella rassegna nazionale In Contatto, ed è stata proiettata in platee importanti come il Giffoni Film Festival e l’Isola del Cinema, a Roma. “Speriamo sia solo l’inizio: è una storia che abbiamo voluto raccontare con il piccolo budget che potevamo permetterci, non tutto è stato facile, ma ne è venuto fuori un racconto che piace, che cattura chi lo guarda”, spiegano gli autori. “È capitato che questi otto minuti commuovessero, emozionassero, colpissero per i colori o per la musica, e per noi era la cosa più importante: non raccontare una storia qualunque, ma una storia che appartenesse a chi la guarda, e desse forma a un desiderio che tutti, almeno una volta nella vita, hanno espresso. Chiedere un extra-time, un tempo supplementare, a quello che ci è concesso dal fato”. A regalare questo tempo in più è un artigiano molto particolare, interpretato da Alberto Rubini, punta di diamante di un cast composto invece da attori esordienti, compreso il protagonista, Donato De Bari. “Preso per il viso, e del tutto vergine rispetto all’interpretazione cinematografica. E’ stato bellissimo, perché non possedeva alcuna impostazione, né scoria, e il personaggio ha preso vita quasi naturalmente. L’interpretazione di Alberto ha 4 fatto il resto, alzando per tutti l’asticella della qualità: ha letteralmente ispirato e trainato l’intero cast”.
“Un lavoro intriso di realismo magico”: ha commentato così il cortometraggio, recentemente, la Gazzetta del Mezzogiorno, e l’evocazione di un tipo d’atmosfera sospeso tra morte e vita, tra realtà e incanto, sembra rappresentare la vera mission portata a compimento dai due giovani registi, per i quali adesso inizia la lunga avventura dei festival. “Di qui a un anno, ci auguriamo di continuare ad emozionare le persone, otto minuti possono bastare. Se poi un po’ di quella emozione rimarrà addosso, per un tempo supplementare, a chi lo guarda, vorrà dire che davvero l’uomo che cuce il tempo starà continuando a fare il suo dovere”.

DIETRO LA MACCHINA
È tempo di credere alla vita, in tempo di morte. (Commodiano) Anche se non hanno voce, i morti vivono. Non esiste la morte di un individuo. La morte è una cosa universale. Anche dopo morti dobbiamo sempre rimanere desti, dobbiamo giorno per giorno prendere le nostre decisioni. (Shôhei Ôoka) A tutto si rimedia, meno che alla morte. (Ladri di biciclette) Ecco, probabilmente la cosa più scocciante, nella morte, sta nel fato d’esser morti. Del non poter continuare ciò che abbiamo lasciato in sospeso, del separarci sul serio da ciò che volevamo, e magari non avevamo raggiunto.
Eppure, in fondo, si tratta soltanto di chiudere gli occhi: non può essere una ragione sufficiente per rinunciare ai nostri sogni, no? Ci chiedono spesso: come nasce una storia come “L’uomo che cuce il tempo”? Mettiamoci una buona dose dell’ingrediente più importante: l’immaginazione, unita alla non rassegnazione. Non ci piace che la parola fine sia proprio la fine. Aggiungiamoci il non arrendersi, 5 il voler combattere per qualcosa che le leggi della carne ci impediscono di compiere. Avevamo questa voglia: raccontare di uno che della morte se ne infischia, e vuole continuare a raccontare storie e vita dei morti, per i morti. Ma non era abbastanza. Il resto, come spesso capita, l’ha fatto il caso: una passeggiata nei vicoli di Manduria, con l’umore un po’ così. Fino a capitare davanti alla bottega di un sarto. Fino a farsi raggiungere da un pensiero netto, il pensiero giusto. Il pensiero con il quale nascono tutte le storie. “Sarebbe bello se…”

IL SET
Scegliere un set ha sempre le sue buone ragioni, soprattutto quando si ha voglia di assecondare quelle suggestioni ispiratrici che danno vita alla storia prima attraverso l’immaginazione e poi su carta. Ma passare dalla carta all’immagine vera e propria e non restare delusi dalla resa finale, non è così semplice, per questo una fase importante della pre-produzione ha visto continui sopralluoghi per la scelta definitiva delle 3 location. Prima fra tutte il camposanto: sono stati visitati innumerevoli cimiteri pugliesi, civili, militari, scattate centinaia di foto, studiate posizioni e luci, per arrivare poi alla soluzione più a portata di mano: Manduria ospita un camposanto ideale per la resa cinematografica. Se n’era accorto già Sergio Rubini, quando nel 2009 ci girò una scena de “L’uomo nero”. Per questo la scelta del camposanto manduriano, ideale per monumentalità e scorci antichi, rappresentava per la produzione anche una chicca per omaggi e citazioni.
E a proposito di citazioni, la seconda location è stata scelta per la resa fotografica volta a riproporre le pitture a olio caravaggesche, in cui luci e colori si mischiavano brillantemente proprio come sulla tavolozza del grande artista. Massimo Cerbera 6 ha riprodotto perfettamente l’ideale di fotografia pensato dai registi, per citare, nella scena del pranzo solitario, le famose pitture “Il mangiatore di fagioli” di Annibale Carracci e “Cena in Emmaus” di Caravaggio. La stanza, presso il B&B Archidamo di Manduria, risultava perfetta per posizione delle finestre e arredi minimali e di legno, che richiamassero quindi intimità e solitudine dai toni caldi, modesti e quasi senza tempo. E senza tempo è sembrata la bottega del sarto la prima volta che è stata visitata. Si percepiva la “stoffa” della manualità, del lavoro artigianale, del vero, del vissuto. Sedie e sgabelli di legno e paglia, forbici arrugginite, tavoli rugosi e profumati di antico. Quello era il posto che aveva ispirato gli autori, il posto giusto.