!Xš‚‰

Le "indignate" dell’ILVA nel documentario di Valentina D'Amico


Intervista esclusiva a Valentina D’Amico regista de La Svolta. Donne contro l’Ilva in concorso al primo festival italiano online del cinema documentario, visibile su www.viaemiliadocfest.tv.


Le
La Svolta. Donne contro l’Ilva è il coraggioso documentario d’inchiesta di Valentina D’Amico, giovane giornalista e regista salentina, che racconta la battaglia di sei donne contro quella che a Taranto è stata sempre considerata una salvezza, oggi il peggiore dei mali. L’Ilva. I protagonisti del film sono dunque, da un lato, la più grande acciaieria d’Europa che con l’aumento annuale dei profitti vanta il primato nazionale di morti sul lavoro e d’inquinamento ambientale. Dall’altro, donne combattive (lavoratrici, mogli, madri) che vogliono spezzare il bastone dell’arroganza, dell’impunità che mortifica la propria dignità, uccide i propri mariti e figli, che mina la propria salute.

Il mondo del web, la multimedialità e le nuove tecnologie influiscono sul tuo modo di creare film? E se sì, come?
Valentina D'Amico: Il web aiuta nella fase della ricerca indubbiamente. Fiumi di materiale a disposizione dell’utente senza neanche il fastidio di spostarsi dalla scrivania di casa. Le nuove tecnologie, il digitale, permettono inoltre a produzioni indipendenti come la nostra, di realizzare un film a costi ridottissimi.

Credi che il web possa essere decisivo nella diffusione del cinema documentario?
Valentina D'Amico: Decisivo non so, importante sicuramente considerata l’assenza di spazi (tranne qualche rara eccezione) per la promozione e la distribuzione dei documentari. Il web dovrebbe essere usato con maggiore attenzione però, altrimenti rischia di essere come il bidone della indifferenziata, tutto dentro in una mescolanza ibrida con serie difficoltà di tirar fuori qualcosa di interessante.

Cosa ti ha spinto a occuparti di Taranto, dell’Ilva?
Valentina D'Amico: L’indignazione, indubbiamente. Taranto è una città violentata dall’industrializzazione forzata degli anni 60. Lo sviluppo del meridione d’Italia doveva partire e venire da lì, dalle grandi fabbriche costruite in spregio ad ogni logica ambientale, di tutela e valorizzazione delle attività locali (la pesca, l’agricoltura) e di salute dei cittadini e degli operai.
Ma se questo era “ammissibile” allora che non era ancora maturata una cultura ambientalista e di tutela delle diversità, delle peculiarità di un territorio che c’è oggi, ora non è più accettabile.
Taranto è una città di morti che camminano (non c’è una famiglia che non abbia un malato di tumore) e che piangono i morti ammazzati nello stabilimento. L’Ilva di Taranto è stata garanzia di occupazione per un terzo della popolazione adulta, oggi dà lavoro a circa 12mila persone. Ma l’Ilva di Taranto, con il primato italiano delle morti sul lavoro e quello da inquinamento da diossina, è anche il condensato del cinismo imprenditoriale, della negatività di un sistema che antepone i profitti alla stessa vita umana. Complici politici e amministratori di turno.

Se lo chiede una delle donne all’interno del documentario: perché tutti conoscono le vittime della ThyssenKrupp a Torino, e pochissimi la vicenda dei 180 operai morti all’Ilva?
Valentina D'Amico: Perché sette operai arsi vivi in un solo giorno fanno notizia. Sono troppi da digerire tutti in una volta anche per le vergini coscienze assuefatte ad accettare che negli scantinati dei condomini di ogni nostra città, di ogni nostro paese, si possa lavorare ancora oggi, nel 2011, per soli 3,50 € al giorno. Italia, Barletta. Tranne poi indignarsi, anche in questo caso, solo dopo la tragedia.
180 operai morti nel più grande stabilimento siderurgico d’Italia fanno poca notizia perché sono spalmati in 50 anni. E finché non ci scappa il morto in casa si è portati quasi a condividere la frase che ogni tarantino conosce a memoria: “I morti sul lavoro sono fisiologici”. Emilio Riva docet.

Tre cose per invogliare il pubblico a guardare il tuo doc e votarlo
Valentina D'Amico: Va guardato perché si scoprirà una realtà sconosciuta ai più. Quello che sconvolge in occasione delle proiezioni che facciamo in giro per l’Italia è che la stragrande maggioranza ignora completamente la grave situazione tarantina. Il documentario quindi va guardato intanto per informarsi e se possibile dare una mano alla formazione di una coscienza critica in grado di smuovere il complice cinismo istituzionale, oltre e ancor prima di quello imprenditoriale.
Va guardato perché si troverà nella realtà di Taranto affinità con quelle di altre città italiane: Brindisi, Gela, il triangolo della morte “Augusta-Melilli-Priolo”… E forse è ora di dire basta.
Va guardato e votato perché la denuncia di Francesca, Caterina, Margherita, Anna, Patrizia e Vita non può rimanere isolata.

18/10/2011, 13:33