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"Habemus Papam": la profondissima precarietà psicologica
ed esistenziale della condizione umana


Habemus Papam” è un film importante e prezioso; inizia come una commedia lucida ed intelligente e poi ci entra dentro, non per sconvolgerci ma per risvegliarci. E ci conquista per il suo sentito intimismo scettico e doloroso, per la sua capacità di essere disperato ma allo stesso tempo ironico, perché si rivela vero e tragico, anticonsolatorio ed anticonvenzionale. Cosa cercare di più da un’opera cinematografica?


Sarà da domani nelle sale "Habemus Papam", l’undicesimo, attesissimo, lungometraggio di Nanni Moretti in concorso a Cannes, notizia quest’ultima che il regista ha appreso durante la conferenza stampa di presentazione del film.

Con la sua ultima fatica il grande autore e regista romano ci regala un’opera non solo importante e preziosissima ma sconvolgente, perché esemplificativa dell’attuale decadimento morale, spirituale e psicologico del mondo moderno, ma soprattutto perché puntata perlopiù ad un intimo e nobilissimo interesse culturale e sociologico assolutamente immune da qualsiasi tipo di operazione commerciale, perché è un’opera primariamente volta a narrare la realtà possibile avvertita dal puro sentimento dell’autore.

Il film inizia con l’elezione del nuovo papa, il conclave che segue naturalmente la dipartita del pontefice appena deceduto. Il lungometraggio, che ha sulle prime un taglio documentaristico per le riprese girate a San Pietro, si trasforma presto nel genere di commedia puntata su un divertimento esclusivamente fine ed acuto. Nanni Moretti, però, persegue da subito l’utilizzo di un tono intimo e malinconico attraverso l’utilizzo della bella colonna sonora di Franco Piersanti che pare dichiarare sempre di più l’affezione dell’autore ai personaggi, soprattutto a quello principale vestito da Michel Piccoli ma anche a quello dello psicanalista da Moretti stesso interpretato. I toni più intimi e anche poetici della narrazione non tardano così a venire allo scoperto grazie al viaggio mentale e quindi al percorso che il papa, eletto ma non dichiarato, compie nella Roma dei giorni nostri, la città nella quale vive ma che è sempre stata troppo lontana dalla sua vita protetta e privilegiata, quella in cui si accorge che non solo lui ma perlopiù chiunque è perduto nella propria solitudine o incomunicabilità, apatia, rabbia se non pazzia. Ed è così non solo tragico ma bello per il nostro papa smarrito, almeno per qualche giorno, perdersi e riscoprirsi bambino, di nuovo libero da qualsiasi tipo di responsabilità.

Habemus Papam” è a prima vista, come ha dichiarato il regista, un film molto semplice che parla da solo e non ha quindi bisogno di discussioni (per questo motivo sino a ieri, a quanto dichiarato, il regista intendeva astenersi dalla conferenza stampa); ad un livello più attento l’ultimo lavoro di Nanni si presta però a letture ben più ampie. Mentre da un lato il lungometraggio pare dare delle sconvolgenti risposte esistenziali evidenti ed insindacabili, allo stesso tempo sembra suggerire un contorto percorso alla ricerca del senso, ponendo domande che certo rimangono spesso senza risposta. In ogni caso, sia per i quesiti senza soluzione aperti che per la più logica interpretazione della risoluzione dello snodo narrativo, “Habemus Papam” rimane un’opera scioccante per il suo scetticismo, a tratti un po’ compiaciuto da ricordare il pessimismo alleniano (certo vissuto ben più disperatamente, e anche a volte meno ironicamente, oltreoceano dal regista newyorkese). Il destino poi però, in “Habemus Papam” pare giocare con la vita dei protagonisti, e forse, ci può capitare di riconoscerlo, anche con la nostra. Sarà solo un caso?

Di certo non c’è tema più importante, e quindi più vero, della proposta della crisi e del panico esistenziale e quindi della ricerca del senso in un mondo perduto come quello contemporaneo, e Nanni Moretti non manca di proporcelo in modo diretto ed univoco ma allo stesso tempo ben sfaccettato, contorto ed intelligente, propositivo e sconcertante perché reale, quindi anche e soprattutto per questo motivo impagabile. La verità e la positività insomma può non esistere, ma potrebbe anche sopravvivere sepolta nella fissazione di una psicanalista che vive all’ombra della fama nel marito, oppure nei deliri della pazzia momentanea di uno sconosciuto che finirà per non rivelarsi così tale, nel vagare notturno di un autobus sul lungotevere oppure proprio nel ricordo e nella rivisitazione della passione antica del nostro protagonista per il teatro. Certo a un papa così tenero e confuso alla ricerca stessa dello smarrimento, così sconfortato e quindi così potenzialmente reale, non si può non volere bene, per cui non si può mancare di rimanere sconcertati nei confronti delle piatte convenzioni che vorrebbero regolare la sua e la nostra vita, renderci automi di un’esistenza tanto inutile. Da questo punto di vista il finale del film (un monologo commovente e scioccante con implicazioni non solo ecclesiastiche e metafisiche) può riuscire ad apparire una liberazione, nonostante la lettura più facile e tautologica, immancabilmente traumatica per la morale comune, sia impossibile da non considerare come la più accreditabile.

E’ inevitabile quindi che si esca molto scossi dalla visione di “Habemus Papam”, proprio secondo le intenzioni dell’autore ed esattamente come è giusto che sia nel contesto di una grande opera cinematografica come questa, così capace di narrare la nostra esistenza qui e adesso.

L’undicesimo lungometraggio di Nanni Moretti è un film sulla profondissima precarietà psicologica ed esistenziale della condizione umana, ma in molti, forse troppi, finiranno per prenderlo come un attacco alle convenzioni più sacre. Farà discutere questo film, e molto, ma speriamo tanto che le disquisizioni vertano sul versante intellettuale e sociologico piuttosto che su quello morale. Lo speriamo perché ci sembra doveroso. Di certo correte a vedere “Habemus Papam”; se siete davvero vivi non ve ne pentirete, perché comunque vi rimarrà dentro, nel male o nel bene.

14/04/2011, 23:09

Giovanni Galletta