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"A Mao e a Luva": la favola di una favela


Certe grandi storie sono le conseguenze di piccoli eventi quotidiani, quelli capaci di metterci dinnanzi a una scelta categorica, valutarli come quello che sembrano apparentemente e non dare loro importanza, o guardare oltre ad essi, crederci e ospitarli nella propria vita. E' successo così all'allora sedicenne Ricardo Gomes Ferraz, che dopo essersi imbattuto casualmente in un libro da qualcuno abbandonato, ebbe subito chiara la sua missione, costruire una biblioteca per i bambini di Recife.

A raccontarci questa “favola” di una “favela” è Roberto Orazi, regista del bel documentario “A Mao e a Luva”, in concorso nella sezione “Extra” del Festival Internazionale del Film di Roma”. Oggi Ricardo, meglio conosciuto come KCal, ha trentacinque anni, scrive poesie e canzoni e manda avanti la “Livroteca Os Guardioes”, biblioteca che sorge su una palafitta nella città di Recife. Uno dei suoi brani inizia dicendo "la schiavitù non è terminata, ha solo cambiato nome" e proprio per questo dietro all'attività di “trafficante di libri” si nasconde la sua vera mission, aiutare i bambini pernambucani a liberarsi dalla schiavitù dell'ignoranza, perchè "ogni libro è un grido di libertà".

Roberto Orazi venne a conoscenza di questa vicenda, mentre stava girando il precedente lavoro “H.O.T. - Human Organ Traffic” e l'incontro con Kcal fu da nodo in gola: "Era la mia guida lì nelle favelas e portandomi a vedere la sua palafitta-biblioteca mi disse che le gravi difficoltà economiche non lo avrebbero fermato, perchè sarebbe andato avanti come un vero guerriero. Quando venni a sapere che sarebbe stato insignito del premio “Far Diferenca” per il sociale, parlai con il produttore Riccardo Neri e decidemmo di raccontare tutto questo". Oggi, come racconta lo stesso Ricardo, quel luogo ha assunto un valore ancora maggiore, divenendo un vero doposcuola per i figli di famiglie di ogni genere: "Da me vengono anche i figli di trafficanti di droga, che non mi hanno mai intralciato nella mia avventura, perchè sanno che i bambini da me stanno al sicuro, studiano e giocano".

Il film di Roberto Orazi è di quelli che ti sanno far riconciliare con il cinema, girato da chi in quei luoghi sembra esserci nato e cresciuto, giunto nel momento in cui in Italia per qualcuno la cultura sembra essere diventata inutile, come a voler ricordare che l'arte sa ancora cambiare le vite della gente, in ogni lato della Terra.

04/11/2010, 16:44

Antonio Capellupo