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Note di regia del documentario "Il Nuovo Sud dell'Italia"


Note di regia del documentario
Con “Il Nuovo Sud dell'Italia“, ho cercato soprattutto una linea documentaristica che vivesse di una soggettività e di una poesia non tipica dei documentari. Affinché lo spettatore ricevesse una percezione propria del messaggio, ricavata dalle immagini, dai silenzi e dai rumori più che dalle informazioni.
Da tempo volevo realizzare un documentario che parlasse del Sud Italia, terra nella quale sono nato e cresciuto, e che oggi involontariamente è diventata, da terra di emigrazione, terra di immigrazione.
Da quelle parti, le persone hanno vissuto con profondo dolore le “distanze”. Siamo tutti cresciuti con una storia di emigrazione alle spalle.
Per questo, da calabrese, ho sentito il bisogno di raccontare da “dentro“, queste vite sospese tra la speranza e la disperazione. Ho filmato solo quello che ho visto e percepito in quei momenti.
Quando sono stato nella Sibaritide (Calabria ionica) a filmare i tanti migranti africani, rumeni, polacchi o moldavi; in alcuni momenti sentivo la necessità di lasciare la telecamera da parte perché non mi sentivo più in un film, ma di fronte a una realtà cruda, toccante e violenta che io cercavo di monitorare attraverso l'obiettivo, il quale a sua volta, però, creava distanza. I migranti in quel momento erano come nudi davanti alla telecamera che cercava di tradurre cinematograficamente quella realtà improvvisa. Il mio intento era tradurre in immagini il loro vivere, ma mi rendevo conto di essere incapace di restituire i loro racconti crudi, violenti e dolorosi. L'obiettivo stava spezzando quei momenti di verità pieni di passione impedendomi di cogliere le sensazioni e le emozioni vere. Per viverle, ho perciò dovuto liberarmi della telecamera e stare vicino a loro, con loro. È stato necessario immedesimarsi nei loro racconti, entrare in quegli attimi veri. Solo quando ho sentito quella sincera percezione dei nostri racconti che stavano attraversando il tempo e noi, mi sono detto che forse - dico forse - avrei potuto tradurre quelle emozioni in immagini.
Come le immagini dei migranti all'alba sulla Statale Crotone -Taranto. Sembravano figure immobili, sagome spettrali che, nonostante la tristezza e la solitudine che si avvertiva, avevano qualcosa di dolorosamente bello.
La solitudine è alla base del film: i momenti di solitudine sono vissuti da tutti, non solo dall'immigrato, e infatti il senso di inquietudine e di isolamento che si avverte nel film è in senso più ampio riferito a una certa insicurezza verso il futuro, che ci pare decadente come tutte quelle barche che si vedono nel film, distrutte, accatastate l'una sull'altra.
La mia impressione è che in Calabria si stia creando involontariamente un grande contenitore nel quale si stanno ammassando poveri con altri poveri. Gli immigrati in Calabria oggi non arrivano più dalla Libia, ma da Brescia, Bergamo, Verona con tanto di permesso di soggiorno. Alcune terribili leggi concepite da sindaci leghisti del Nord Italia fanno sentire ai migranti di non essere più ben accetti, e così loro scendono verso sud pensando che laggiù la gente, nelle cui famiglie si trova sempre un parente emigrato, sia più ben disposta nei loro riguardi. È una forma ingenua di pensare perché nel Meridione mancano infrastrutture adeguate, centri di accoglienza volti a ospitare questi disperati alla deriva. E ci si divide quel poco che c'è, in mezzo a tanta violenza e sfruttamento.
Nel film le testimonianze sono chiare: si tratta di una vera e propria guerra fra poveri. Si vede il calabrese povero che va a raccogliere legna sulla spiaggia, con la paura che arrivino i rumeni e gli portino via quel poco che c'è. Alcuni migranti cercano di sfruttare altri migranti spingendoli verso una disperazione ancor peggiore della loro.
Quando nei piani alti della società si delinea un clima di razzismo e paura, la lotta violenta per la sopravvivenza avviene “sotto”.
Nei bassifondi della disperazione, nei quali ogni disperato cerca di spingere un altro disperato verso un sud ancora più a sud.Verso un povero più povero.
Perché si ha paura di restare incagliati nella rete degli ultimi.

Pino Esposito