Festival del Cinema Città di Spello e dei Borghi Umbri
!Xš‚‰

Dichiarazione di Alessio Boni sul film: "Quando
Sei Nato Non Puoi più Nasconderti"


Dichiarazione di Alessio Boni sul film:
Alessio Boni
In questa seconda esperienza con Marco Tullio Giordana dopo "La Meglio Gioventù", mi ha un po’ spiazzato il fatto che tutti noi dovevamo andare dietro al bambino, nessuno poteva seguire canoni precisi nella recitazione. Tante scene sono state cambiate, improvvisate lì per lì, perché Marco Tullio non voleva che mi preparassi troppo “a memoria”, voleva quasi una sorta di goffaggine nel modo di esprimersi perché il personaggio di Bruno viene su dal nulla, è una persona per bene ma gli è rimasto dentro qualcosa di rozzo. Marco Tullio ci chiede sempre la massima naturalezza. Spesso ci cambia le battute all’ultimo momento per impedirci di diventare meccanici. Usa la macchina da presa quasi come una candid camera, ci studia, ci ruba, come se stesse girando un documentario...
Eravamo stati insieme a Brescia a fare i provini ai ragazzini. Marco Tullio me l’aveva chiesto perché sono di quelle parti, ho lo stesso accento dei bambini, potevo metterli a loro agio. Dopo aver visionato i provini, vedendomi che facevo la “spalla”, si è convinto di farmi fare il padre. Così ho iniziato un percorso a ritroso per ritrovare tutto quello che in Accademia avevo cercato di cancellare: l’accento di mio padre, di mio fratello, di mia madre! Con mia nonna posso parlare solo in bergamasco! Ho dovuto scordarmi tutte le lezioni di dizione. Per tre settimane me ne sono andato con Matteo Gadola sul Lago di Garda dai suoi zii. Ho studiato anche lui. Difficile che Matteo, non essendo un attore, potesse copiare me... avrei dovuto essere io a copiare lui! Al padre di Matteo ho chiesto di raccontarmi il figlio, di descrivermelo, di “spiegarmelo”. Ma le vere informazione me le ha date Matteo, il rapporto diretto con lui. Mi piace Matteo, la sua intelligenza, la sua tenacia, la sua allegria, gli voglio molto bene. Sarebbe bello avere un figlio come lui.
Il mio personaggio è il tipico padroncino, uno che si è fatto da solo. Sgobba come un matto, nessuno gli ha regalato niente. Sveglio, generoso... ma anche un po’ ignorante, benpensante, conformista. È attraverso il figlio che comincia a capire molte cose, che comincia a ragionare... Bruno non è un razzista, ha bisogno di quegli operai di colore, li conosce uno per uno, magari è un po’ paternalista, ma non è razzista. Il razzismo è tutt’intorno, nel disagio di chi non ha rapporti con loro e liquida la faccenda dicendo “Negri e terroni, tutti a casa loro”. Bruno non è così ma si sente ovviamente superiore a loro: i soldi, la villa, la fabbrica... Sparisce il figlio e improvvisamente tutto questo non ha più alcun valore. Come dice alla moglie: “Morto lui, morti noi...”. Quando lo ritroverà, il terrore di perderlo continua a lavorare. Capisce di essere in obbligo verso quegli straccioni lì che lo hanno salvato... È una delle scene di Bruno che preferisco: quando incontra Radu e non riesce quasi a parlare, gli bacia la mano...

15/02/2007